«È la grande narrazione a costituire la nuova caratteristica della politica americana e House of Cards ne diventa il decalogo grazie all’uso di una retorica fatta di seduzione e ricatti». Aldo Grasso, docente di Storia della radio e della televisione e direttore del Certa, interpreta in questo modo il successo della serie televisiva americana, la cui fascinazione risiede nell’esibizione di potere e risponde al nome di storytelling.
Ad House of Cards e allo spettacolo del potere nello specchio della serialità televisiva la facoltà di Scienze politiche e sociali, il dipartimento di Scienze politiche, il Certa e Sky Atlantic hanno dedicato una dibattito coordinato dal professor Damiano Palano.
Lo sfondo del racconto è quello di un’America che «ha perso la sua anima, è rimasta senza Dio» sostiene Massimiliano Panarari, docente alla Luiss di Roma. House of Cards rappresenta l’immaginario collettivo che diventa realtà, nonché la post modernizzazione della politica che lascia emergere la crisi della sua rappresentanza e della partecipazione popolare. Il risultato è una de-politicizzazione che rimanda a una crisi di ideologie, dove la figura del leader diventa spettacolarizzazione mentre l’ambiente circostante è in balìa di un senso di paura che ricorda lo stato di natura teorizzato da Hobbes.
Il successo della serie appartiene al filone della cosiddetta political drama, un corpus di prodotti dove la politica entra nella televisione. Il professore Massimo Scaglioni, del Certa, individua al suo interno due diverse tipologie di racconto: la meccanica dei processi politici con al centro lo spettacolo del potere e la spettacolarizzazione della sorveglianza, che a loro volta rimandano alle politiche di rappresentazione e commistione. La prima è intenta a orientare moralmente lo spettatore, offrendogli più punti di vista tra cui scegliere; la seconda, invece, serve a rendere il personaggio di Frank Underwood un attore della politica reale.
È proprio il protagonista della serie l’oggetto dell’analisi del politologo dell’Ateneo Andrea Locatelli che vi individua punti di contatto e divergenza con Il Principe di Machiavelli. Underwood lo ricorda da un lato per la sua abilità di dissimulare, la visione negativa dell’uomo, la mancanza di moralità nella politica e per la presenza di alcune massime; ma dall’altro se ne discosta per la sua convinzione di non piegarsi alla politica e per l’incapacità di distinguere gli avversari dai nemici.
Il professore dell’Università Cattolica Antonio Zotti racconta «la realtà più prosaica della politica americana raffigurata in House of Cards», mentre l’esperto di media Luca Barra parla della tendenza di tante serie televisive ad alleggerire la politica, per renderla sia più leggera e al tempo stesso per cercare un engagement con il pubblico più giovane. Alcuni filmati testimoniano come politici della vita reale come McCaine e Hillary Clinton si sono prestati per esempio alla serie Parks and Recreation, oppure Broad City, dove la stessa Clinton incontra due sostenitrici nel suo ufficio elettorale, tra momenti comici e di incredulità.
Antonio Visca, responsabile di Sky Atlantic che ha trasmesso in Italia le quattro stagioni di House of Cards, spiega l’unicità del proprio canale: «House of Cards è una serie televisiva di nicchia che non punta a fare ascolti stratosferici, ma rappresenta lo sforzo di Sky Atlantic di trasmettere programmi di qualità. Non è una serie per tutti, pur essendo dotata di una grande potenza comunicativa».
Da House of Cards alla Casa Bianca, dalla fiction alla realtà, questa serie televisiva diventa lo specchio in cui ritrovare la condizione della post democrazia, dove le menzogne e il cinismo della politica ne costituiscono la storia e Frank Underwood ne è l’attore protagonista.