Doppia laurea o double degree in Medicina e Chirurgia riconosciuta nei Paesi UE e negli USA. Questa prima esperienza italiana è uno dei frutti dell’accordo siglato tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Jefferson, prestigiosa università statunitense con sede a Filadelfia. Tale accordo, che dà il via ad attività di formazione medica e programmi di ricerca congiunti, è stato firmato ieri a Roma tra il Rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, il Preside del Jefferson Medical College Mark Tykocinski e il Presidente e Amministratore delegato di Jefferson e Jefferson Health Stephen Klasko (nella foto, insieme al Rettore Anelli), e fa seguito al Memorandum di Intesa, che ne fissava le basi, siglato oltre un anno fa tra i rappresentanti delle due istituzioni universitarie, il Presidente della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS Giovanni Raimondi. Presente alla firma dell'accordo anche il Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica Rocco Bellantone.
Con questo accordo sarà sviluppato e implementato un programma di studio chiamato “JEFFERSON/UCSC ’3plus3’ Program”. Grazie a questa intesa i due Atenei attiveranno, oltre al Doppio titolo, uno scambio di studenti dei rispettivi corsi di laurea in Medicina e chirurgia per esperienze cliniche della durata di un mese (Clinical Rotation) o per periodi di ricerca fino a due mesi (Research Rotation).
In sintesi l’accordo prevede la selezione di studenti del corso di laurea in lingua inglese Medicine & Surgery della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica per accedere, alla fine dei loro studi, sia alla specializzazione europea, sia a quella americana, avendo trascorso il 4°, il 5° e parte del 6° anno presso la Jefferson University con indiscutibili vantaggi sia competitivi che economici per gli studenti stessi.
Di fatto si tratta dell’opportunità di conseguire una doppia laurea o double degree che apre a possibilità professionali sia nei due Paesi sia, in generale, in molti altri paesi europei e non; è la prima esperienza di questo tipo in Italia e, in prospettiva, è un passo importante verso il passaporto mondiale del medico di cui si sente tanto l’esigenza.