Sono passati settant’anni dal 4 aprile 1949, quando 12 Stati, tra cui l’Italia, firmarono a Washington il Patto Atlantico, trattato istitutivo della Nato. Oggi l’Alleanza Atlantica si è adattata per rispondere alle sfide del mondo moderno e continua a rappresentare la più grande struttura militare multinazionale della storia. Riflettere sul riposizionamento dell’Occidente e sull’importanza di un’organizzazione che ha fatto la storia delle alleanze militari è il contributo del convegno che l’Università Cattolica ha promosso proprio nel giorno del compleanno del Patto Atlantico.
«L’equilibrio geo-economico a livello globale è cambiato molto rispetto a vent’anni fa - ha detto il preside della facoltà di Scienze politiche e sociali Guido Merzoni introducendo i lavori - e questo ha mutato i rapporti con gli Stati Uniti, che si stanno spostando più verso il Pacifico che verso l’Europa. In superficie c’è qualche increspatura nei rapporti, più in profondità ci sono problemi più strutturali, ma credo che la convergenza di rapporti tra i Paesi membri sia ancora intatta».
«Quest’occasione si carica di significato ulteriore – ha convenuto il direttore del dipartimento di Scienze Politiche Damiano Palano – perché l’Alleanza ha forgiato molta della nostra visione politica e militare in questi sette decenni. La Nato ha rappresentato un’anomalia nella storia delle relazioni internazionali: è un’alleanza imprevedibile, non perché non fosse scontato che l’Occidente si unisse per contrastare quella che allora sembrava l’ascesa dell’Est comunista, ma per la sua composizione, che la differenzia da tutte le altre alleanze militari del passato. Dopo il 1989 molti prevedevano che la Nato si disgregasse, invece è diventato un attore politico ancora più rilevante».
I lavori del convegno sono poi entrati nel vivo con la prima sessione, che ha cercato di ricostruire l’evoluzione politica e militare della Nato. «Si è convertita e ha esteso la sua rete di azione – ha spiegato il generale Giorgio Battisti, comandante dal 2011 al 2014 dei corpi d’azione rapida italiani della Nato – e dopo l’11 settembre 2011 ha imparato a operare anche al di fuori dei propri confini. Oggi ci sono sfide urgenti: le manovre della Russia, i finanziamenti dei Paesi membri, le tensioni con la Turchia – primo Paese Nato ad acquistare armi dall’esterno -, l’avanzata della Cina con la Nuova Via della Seta, i Balcani, il terrorismo islamico».
«La Nato rimane la più efficiente delle alleanze – ha ricordato Massimo De Leonardis, docente di Storia delle Istituzioni e delle Relazioni Internazionali – ma lo scenario contemporaneo ha messo in luce anche gli aspetti negativi di questa unione. L’obiettivo originario era creare una vera comunità atlantica, non solo un’alleanza militare. Questo punto però rimase lettera morta. Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, la Nato ha perso un nemico ma non ha ancora trovato un ruolo. Pensate che Donald Trump definì la Nato obsoleta e dichiarò che non avrebbe pagato il conto degli alleati, posizione condivisa anche da Obama».
Andrea Gilli, ricercatore in Relazioni Internazionali al Comitato Difensivo della Nato, ha descritto la capacità militare della Nato: «I compiti della Nato sono tre: difesa e deterrenza, la lotta contro il terrorismo e la guerra non convenzionale, e la risposta nelle situazioni di crisi. Il dibattito sulla spesa pubblica destinata alla difesa non indica necessariamente l’efficacia della risposta militare. Si può avere l’esercito più forte al mondo, ma, se non viene impiegato, spendere di più è inutile. I bilanci non garantiscono potenza ma aiutano a mantenere gli equilibri esistenti».
«La Nato ha consentito di stabilizzare l’area dal Mare del Nord al Mar Nero ma ha ancora molte sfide davanti, esterne e interne» ha affermato il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali e direttore dell’Alta Scuola in Economia e relazioni internazionali (Aseri). «Sul fronte esterno, la Russia ha aumentato la sua aggressività in Crimea, Medio Oriente, perfino nelle elezioni americane del 2016, ha riempito l’Artico di basi operative ma ha un problema di successione: Vladimir Putin non ha chi possa prendere il potere dopo di lui; la Cina ha aumentato le spese militari anno per anno, con 4 portaerei nel giro di 5 anni, secondi solo agli Stati Uniti, e cerca di destabilizzare la centralità americana, anche collaborando con la Russia. Sul fronte interno, l’amministrazione Trump è la prima a parlare male della Nato, ha lodato regimi come l’Arabia Saudita lontanissimi dai valori dell’Alleanza, ha stracciato unilateralmente il trattato sul nucleare iraniano dimostrando che gli accordi valgono solo quando fa comodo, ha spostato la capitale a Gerusalemme in barba a decine di risoluzioni Nato e riconosciuto la sovranità di Israele sulle Alture del Golan. A questo si aggiunge la crisi dell’Unione Europea, prigioniera delle sue logiche opportunistiche, ma il cui crollo non avvantaggerebbe affatto l’Alleanza Atlantica. Insomma - conclude Parsi - abbiamo ancora bisogno della Nato, ma è necessaria una policy capace di trasformare queste sfide in opportunità».