«Ridiamo aria e respiro ai detenuti». Con questo appello Gabrio Forti, preside della facoltà di Giurisprudenza, inizia l’incontro “Il diritto penitenziario tra fervori normativi e vischiosità organizzative” promosso dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp) il 6 maggio nella Cripta Aula Magna dell’Università Cattolica. «Il sovraffollamento è il grande problema delle carceri italiani. E non è solo un dato statistico, ma culturale».

Angelo Giarda, già ordinario di Diritto processuale penale, commosso nel ritornare in Università Cattolica, introduce la tavola rotonda. «La situazione, pur essendo migliorata, è ancora di grave disagio. Gli ultimi dati dicono che in Italia ci sono 59.683 detenuti quando la capienza delle carceri è di soli 49.091 posti». Come risolvere questo problema di sovrappopolazione? Giarda fornisce alcuni spunti da riprendere nel corso della conferenza. «A oggi più di un terzo dei carcerati si trova in prigione per motivi di custodia cautelare. Non serve aggiungere altro per capire che c’è stato un abuso di questo delicatissimo provvedimento».


L’altro punto su cui il noto penalista si sofferma riguarda Strasburgo: «La settimana scorsa siamo stati richiamati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la condizione delle nostre carceri. Al giorno d’oggi dobbiamo capire che non esiste più il confine delle Alpi ma esiste l’Europa».

Il racconto della vita nelle carceri è affidato a don Virgilio Balducchi, dal 2012 ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane. Circa 230 sacerdoti in tutta Italia passano le loro giornate condividendo i bisogni dei detenuti, dall’incontro con il Signore a quelli più banali come la difficoltà di reperire biancheria intima. «Quelli fuori hanno una voce molto potente e ascoltata, quelli dentro non li ascolta nessuno. Gridano, si tagliano per ottenere anche le cose più semplici. Nelle prigioni, dove spesso il desiderio di vivere va “a quel paese”, girano una grande quantità di ansiolitici che servono a dimenticare chi si è. Prima di qualsiasi legge c’è bisogno di persone che hanno voglia di guardare il male in faccia e guardare l’altro come simile».

Don Virgilio, che nella videointervista che abbiamo realizzato è molto netto su come rispondere alla tragica situazione, chiede che il legislatore investa meno nella costruzione di nuove carceri e più in pene alternative che abbassano di molto la percentuale di recidiva.

A fare il punto sul quadro normativo italiano ci pensa Giovanna Di Rosa, magistrato di sorveglianza e componente del Consiglio Superiore della Magistratura. «Negli ultimi mesi troviamo i due interventi legislativi più consistenti. Tutto questo in vista della risposta che l’Italia deve dare a Strasburgo entro il 28 maggio. Una legge dell’agosto 2013 che ha cercato di ridurre i flussi in entrata e alcuni automatismi per esempio sui recidivi reiterati. Il secondo decreto, invece, è entrato in vigore a dicembre 2013». Il magistrato, già studente della Cattolica, aggiunge però che «questi due interventi hanno avuto delle difficoltà interpretative: metà Italia decide in un modo e metà Italia in un altro. È proprio su questo punto che a noi magistrati è richiesto un impegno ulteriore».

Luciano Eusebi, docente di Diritto penale, è stato membro dell’ultima commissione per la riforma del codice sanzionatorio penale e al pubblico in sala racconta i suoi tentativi di introdurre nuove pene e nuovi strumenti: «Abbiamo sostenuto la logica delle garanzie a pagamento, della procedura riparativa e spinto per una forte rivalutazione della pena pecuniaria che in Germania è utilizzata nel 75% dei casi. L’opinione pubblica crede che la pena detentiva sia la più forte ma non è cosi perché garantisce ampi margini di impunità».

L’ultimo intervento è di Luigi Ferrarella, giornalista del Corriere della Sera: «Di fronte a voi professori mi sento un intruso, il mio unico contributo può essere quello di aiutare a leggere alcuni numeri. Abbiamo visto prima le statistiche dichiarate dal ministero sul numero dei detenuti e la capienza delle carceri, ma bisogna approfondire. Nel conteggio infatti vengono considerati anche tutti quei posti (alcune migliaia) al momento non disponibili perché in fase di ristrutturazione. Oppure prendiamo il caso della Sardegna: nella regione vengono dichiarati settecento posti non utilizzati. Questo vuol dire che ci sono settecento detenuti da un’altra parte in Italia che devono spartire il loro spazio vitale con qualcun altro. Questi esempi sono un invito a non ridurre il dibattito nei giornali e nell’opinione pubblica a considerazioni troppo semplicistiche».