Un paese di 60 milioni di persone, in cui un abitante ogni 13 proviene da altri paesi e i giovani sotto i vent’anni sono uno ogni cinque residenti e sono pressoché pari al numero degli ultrasessantacinquenni. Sono solo alcuni dei dati che tracciano il profilo demografico dell’Italia raccolti nel Rapporto–proposta intitolato “Il cambiamento demografico”, presentato a Milano in Università Cattolica lunedì 17 ottobre con gli interventi del cardinale Camillo Ruini, del demografo dell’Università Bicocca Carlo Blangiardo, della preside della facoltà di Psicologia Eugenia Scabini, del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi, e dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola. «Un paese in cui la frequenza di nascite si colloca stabilmente sotto le 600mila unità annue – annota il rapporto -, ossia circa 150mila in meno di quante sarebbero necessarie solo per garantire nel tempo l’attuale dimensione demografica. Il tutto mentre la durata media della vita ha superato gli 80 anni, la mortalità infantile ha raggiunto livelli minimi quasi fisiologici e la fecondità, scesa da oltre trent’anni sotto il livello che consente il ricambio generazionale, si è attestata attorno alla media di 1,4 figli per donna».
Ed è di fronte a questa fotografia che il Comitato per il Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana si è interrogato sulle cause del fenomeno della denatalità e ha redatto alcune proposte per frenare questa pericolosa tendenza. Nel volume sono stati analizzati dati numerici e quantitativi, ma soprattutto ci si è concentrati sulle motivazioni e implicazioni antropologiche e socio-culturali, oltre che economiche, dei cambiamenti demografici, come ha spiegato il cardinal Ruini. «Vengono presi in attento esame – ha aggiunto l’ex presidente della Cei - la diminuzione delle nascite e i mutamenti delle strutture familiari, la sconfitta della mortalità precoce e l’invecchiamento della popolazione, le conseguenze demografiche dell’aborto, il ritardo nel passaggio all’età adulta, la disoccupazione giovanile e le difficoltà delle giovani famiglie e di quelle numerose, in particolare la fatica delle donne nel conciliare cura dei figli e lavoro. Dall’altro lato si affronta il tema del rapido aumento dell’immigrazione, con la sua incidenza ma anche con i suoi limiti nel contrastare il declino demografico dell’Italia».
La situazione è complessa. «Per farvi fronte non si può disattendere le due sfide, demografica e educativa, che interrogano anche l’Università Cattolica», ha affermato il rettore Lorenzo Ornaghi. Entrando nel merito delle cause che hanno portato il Paese a questa situazione il demografo Blangiardo e la professoressa Scabini, che hanno collaborato alla stesura del volume, hanno tracciato un quadro severo ma al tempo stesso pieno di speranza. Partendo dal presupposto, ricordato dal cardinal Ruini, che l’Italia vive un grande ritardo rispetto agli interventi pubblici e ai provvedimenti che sul lungo periodo tendano ad eliminare le difficoltà sociali ed economiche di ostacolo alla realizzazione dell’obiettivo di avere figli, è però anche vero che il nostro Paese ha due vantaggi potenziali: la perdurante solidarietà e la rilevanza sociale delle famiglie rispetto al resto dell’Europa; e il desiderio di avere figli che rimane alto.
I dati proposti dal professor Blangiardo dicono che il livello dell’attuale ricambio generazionale è oggi sotto la soglia dei due figli per donna da più di 30 anni; che il 40% dei maschi e il 22% delle femmine tra i 30 e i 34 anni vive in famiglia; che il sorpasso del numero dei nonni sui nipoti in meno di vent’anni sarà sostituito da quello dei bisnonni sui pronipoti. «Per invertire la rotta - ha spiegato - è indispensabile che si vada verso nuove politiche pubbliche: una maggiore equità nell’impostazione tributaria, la conciliazione vera tra famiglia e lavoro, politiche abitative a misura di famiglia e un clima culturale “amichevole” verso la famiglia».
A questi richiami, sostenuti durante l’incontro anche dal ministro Sacconi, Eugenia Scabini ha aggiunto che la “sindrome da ritardo” dei giovani italiani che escono sempre più tardi dalla famiglia di origine (per ragioni economiche ma anche di un benessere a cui non si vuole rinunciare) causa un posticipo nella costituzione di una famiglia propria. «Occorre riflettere sull’essere adulti - ha affermato -, oggi inteso come l’essere economicamente indipendenti eludendo le domande: per chi? per quale progetto? Questo è il nodo culturale che impoverisce e richiude in se stesse le famiglie ma che impoverisce anche la società. Essere responsabili vuol dire non tanto e non solo rispondere a sé, come è tipico della nostra cultura individualistica, quanto piuttosto rispondere di sé agli altri a noi contemporanei e soprattutto alle generazioni che ci seguono».
A chiudere il convegno tra gli applausi dei presenti in Aula Magna è stato il cardinal Angelo Scola che ha ribadito il carattere unico e insostituibile della famiglia e il fondamento antropologico alla base di ogni problema sociale, economico e politico. La questione demografica, ha aggiunto Scola, porta con sé quella della procreazione e quella dello scambio intergenerazionale. «Oggi - ha detto - si relega nell’ambito del privato tutto ciò che appartiene agli affetti, alla sessualità, alla filiazione e alla famiglia ma nello stesso tempo si pretende che lo Stato li garantisca attraverso istituti e norme che parifichino altre forme di convivenza con la famiglia fondata sul matrimonio. Così facendo si cade in palese contraddizione perché a ben vedere proprio questa pretesa manifesta l’impossibilità ultima di ridurre la dimensione degli affetti all’ambito del privato». L’Arcivescovo di Milano ha concluso con un richiamo importante per la città: «Il Rapporto–proposta è infine uno strumento prezioso per la preparazione del settimo Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 2 giugno 2012 con Papa Benedetto XVI».
L'intervento del cardinale Angelo Scola ( KB)