Stando alle notizie di cronaca sui femminicidi e i continui episodi di violenza che le donne sono ancora costrette a subire, verrebbe da chiedersi se ci sia ancora qualcosa da festeggiare l'8 marzo. Eppure la festa della donna può diventare un'occasione di riflessione, come ha cercato di fare l'Alta Scuola in Media comunicazione e spettacolo (Almed) dell'Università Cattolica, con il patrocinio del Comitato Pari opportunità dell'ateneo e di quello di Usigrai, con l'iniziativa "Donne e Informazione. Ricominciamo dai giovani".
Il dibattito - moderato da Sabrina Gandolfi della Commissione Pari opportunità dell'Usigrai - ha messo a confronto diversi professionisti sulle difficoltà che ancora oggi le donne incontrano nell'emergere in alcuni settori lavorativi e sul ruolo che i media possono avere nel proporre nuovi modelli culturali. «Quando si parla della violenza sulle donne non si può confondere il desiderio con il possesso, parlare di raptus e momenti di follia, come fossero delle attenuanti - ha spiegato nel suo intervento Ezio Cerasi di Usigrai -. Il mondo dell'informazione ha una precisa responsabilità nell'utilizzo del linguaggio e quando i media continuano a usare espressioni inappropriate è come se le vittime venissero uccise due volte».
D'accordo con lui anche la presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia Letizia Gonzales: «I giornalisti compiono veri e propri errori di comunicazione» continuando a dare adito a interpretazioni fuorvianti come se «il delitto fosse una conseguenza naturale della passione». Spesso ci si sofferma sul puro fatto di cronaca senza andare a fondo nella questione e in certi casi la vittima passa totalmente in secondo piano oscurata dalla visibilità del carnefice, come nella vicenda Pistorius.
Secondo Nicoletta Vittadini del master di Giornalismo della Cattolica, c'è anche un altro punto sul quale bisogna intervenire: «Molte donne non hanno ancora gli strumenti sufficienti per operare in rete e devono riuscire a potenziare le loro conoscenze del mondo digitale; solo in questo modo potranno riscattarsi davvero e far sentire la loro voce».
Ma c'è anche chi riesce a vedere il bicchiere "mezzo pieno". «Per quanto il problema del linguaggio e di un punto di vista prettamente maschile siano ancora presenti nel giornalismo televisivo - spiega Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e televisivo in Cattolica -, ci sono stati dei progressi innegabili: se cinque anni fa i Tg celebravano la festa dell'8 marzo con servizi sulle donne che "finalmente" potevano divertirsi con gli spogliarelli maschili, oggi c'è un nuovo tipo di sensibilità su questi temi; inoltre, rispetto a prima, le donne riescono a occupare posizioni di spicco nel lavoro molto più facilmente, anche negli ambienti da sempre riservati solo agli uomini, uno fra tutti il settore dell'informazione sportiva».
Interessanti, a questo proposito, le esperienze raccontate dai giornalisti sportivi Marco Civoli e Giancarlo Padovan e dall'ex calciatore Sandro Mazzola. Nonostante sul binomio donna-sport ci sia stato per lungo tempo grande scetticismo, tante conduttrici, giornaliste e allenatrici hanno saputo conquistarsi spazio e visibilità in questo campo grazie alle loro capacità, come nel caso di Katia Serra, ex nazionale femminile Calcio e membro Assocalciatori, che ha partecipato alla mattinata di confronto.