Educazione universitaria e infrastrutture. Tra le mille carenze che tendono ad affossare il continente africano, quelle che si manifestano in questi due settori sono di assoluta priorità. E l’unica strada da perseguire affinché le altre emergenze possano, a poco a poco, rientrare, è dare loro un volano per lo sviluppo. Cheikh Tidiane Gadio, ministro degli esteri del Senegal dal 2000 allo scorso anno, è uno dei più grandi sostenitori di quel Rinascimento africano che sogna un’Africa in grado, con le proprie forze, di regalarsi un futuro.
Ospite della prima giornata del convegno “Africa: 50 anni dall’indipendenza” organizzato dalla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica con l’associazione Francesco Realmonte, la fondazione Casa della Carità, il Centro di orientamento studi africani e il Psa (“Presenza studentesca africana”, associazione studentesca in Università Cattolica), Cheikh Gadio ha ripercorso 50 anni di battaglie, di errori e di vittorie. «Ci hanno detto che l’università è un lusso che l’Africa non può permettersi. Si sbagliano. L’insegnamento primario è importante, non lo nego, ma non potrà mai essere il motore dello sviluppo. Gli Usa non primeggiano certo per le loro elementary school ma hanno le più prestigiose università del mondo; Cina, India, Brasile e Corea del Sud hanno basato la loro rinascita economica su un solido sistema universitario e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È questo il punto da cui ripartire, valorizzando le strutture già esistenti e convincendo studenti e insegnanti a non lasciare il loro Paese bensì a provare a cambiarlo davvero».
Il progetto di Gadio, sposato in parte dal Nepad, il nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa, prevede la realizzazione di un sistema universitario panafricano in grado di dare vita, grazie all’unione delle poche risorse dei 53 stati continentali, a un insieme di atenei capaci di rispondere alle esigenze degli studenti. «A Dakar abbiamo un’università di medicina dal 1918. Il Senegal potrebbe quindi divenire il punto di riferimento per tutti gli aspiranti medici; così come Costa d’Avorio o Ghana potrebbero ospitare la facoltà di agronomia; il Sud Africa ingegneria e industria; la Tunisia Informatica e Comunicazione; l’Egitto, infine, con la sua esperienza in materia di dighe, potrebbe creare una facoltà che formi manager per la gestione dell’acqua e dell’irrigazione. Non possiamo più permetterci di accettare che i nostri giovani, cresciuti nelle scuole primarie finanziate con i soldi dello Stato, fuggano in Europa o in America per concludere gli studi e non fare più ritorno nel nostro Paese. Vogliamo cambiare il mondo, realizzare davvero la rinascita dell’Africa. Ci mancano però due componenti fondamentali: la volontà politica di tutti e gli Stati Uniti d’Africa».
Confermano la forza e l’importanza dell’educazione anche gli altri relatori intervenuti giovedì mattina: Cristina Castelli, direttore del master in Relazioni d’aiuto in contesti di vulnerabilità e povertà nazionali e internazionali, che ha ricordato i diversi progetti che l’Università Cattolica ha messo in atto negli ultimi anni a favore e in collaborazione con l’Africa; Giuseppe Vico, pedagogista, che ha raccontato la forza della povertà, e don Virginio Colmegna, presidente della fondazione Casa della Carità. Ad aprire il dibattito il preside della facoltà organizzatrice, Michele Lenoci: «L’educazione è fondamentale, così come la memoria. Senza di queste, anche le leggi migliori, i governanti più saggi e le regole più giuste rischiano di essere inutili».