Una panoramica sui diversi approcci allo studio della filosofia che rende conto delle differenti aree di ricerca che da padre Gemelli a oggi hanno caratterizzato l’Università Cattolica: dalla filosofia antica alla medievale, dalla logica all’ontologia, dal pensiero sistemico alla metafisica, dalla filosofia del linguaggio alla morale, dalla filosofia politica alla bioetica. È stato questo il fil rouge delle dieci sessioni in cui si è articolato il convegno internazionale “Esistenza e identità”, organizzato dal 5 al 9 maggio dal dipartimento di Filosofia con il patrocinio delle facoltà di Lettere e filosofia e di Scienze della formazione e della sezione lombarda della Società Filosofica Italiana. Un convegno che - come hanno ribadito nei saluti introduttivi il rettore Franco Anelli, nella sua lettera inviata agli organizzatori dell’incontro, i presidi delle due facoltà, Angelo Bianchi e Michele Lenoci, e il direttore del Dipartimento, Massimo Marassi - si radica nella tradizione dell’Ateneo, riferendosi sia al “pensare in comune”, che risale a padre Gemelli, sia all’antropologico, come radice e luogo del metafisico. Ma che nello stesso tempo si apre al futuro, in quanto rivolto alle nuove generazioni di studenti destinati a tenere viva la scuola di pensiero della Cattolica. Insieme alla partecipazione di numerosi studiosi e ricercatori dell’Ateneo del Sacro Cuore, il convegno ha ospitato autorevoli professori del panorama filosofico nazionale e internazionale. Tra questi, John Dupré, Michel Fattal, Bernard Collette, Sir Anthony Kenny, Arno Münster, Jean-François Courtine, Nicholas Rengger, Jean-Marc Ferry, Elena Postigo Solana.
Il simposio si è articolato in diverse sessioni di cui proponiamo una sintesi tematica:
• Le cose del mondo. Conversazioni di filosofia e di scienza
• Esistenza e identità. Il punto di vista del pensiero antico
• Essere, esistenza e modalità d’esistenza
• Esistenza e forme dell’esperienza
• Giudizi di identità, processi di identificazione, coreferenzialità
• La metafisica classica e la sua eredità
• Identità, cittadinanza, democrazia
• Identità morale ed esistenza pubblica
• La crisi del soggetto e la bioetica
Le cose del mondo. Conversazioni di filosofia e di scienza. La prima sessione del convegno presieduta da Lucia Urbani Ulivi (Università Cattolica) è stata aperta dalla relazione di John Dupré. Nel suo intervento il filosofo dell’Università di Exeter ha sostenuto che la natura umana è plastica in modo unico. Il risultato dell’evoluzione umana non coincide con una più ampia gamma di competenze, ma con la flessibilità che consente di acquisire una molteplicità di competenze. Gli esseri umani non sono cose, ma processi, cioè qualcosa per cui il cambiamento è essenziale. Questo spiega il fatto che nelle varie trasformazioni del ciclo di vita (feto, neonato, bambino, adulto, anziano) ci sia un’identità riconoscibile, appunto l’identità del processo, che è aperto ad influenze esterne, dell’ambiente e degli altri processi con cui entra in relazione. Dupré afferma dunque il pluralismo, che ammette una molteplicità di cause biologiche, sociali e individuali che interagiscono per produrre il comportamento umano, che non può essere spiegato solo su base genetica.
La sessione è proseguita con l’intervento di tre relatori, appartenenti a diverse aree scientifiche, con cui hanno dialogato tre filosofi dell’Università Cattolica: Roberta Corvi, Roberto Diodato, Lucia Urbani Ulivi. Marta Bertolaso (Campus Bio-Medico di Roma) biologa e filosofa della biologia, ha messo in luce la complessità dei fenomeni biologici che chiamano in causa sistemi di regolazione multi-level e sostenendo la necessità di una metodologia adeguata a tale complessità, che sia in grado di individuare le strutture che soggiacciono ai diversi livelli. In altre parole si tratta di individuare non solo ciò che cambia, ma anche ciò che permane in ciò che cambia. Da parte sua, il fisico teorico dell’Università di Salerno Giuseppe Vitiello, analizzando il tema del cervello e dell’esperienza estetica, ha descritto il primo come un sistema aperto in interazione con l’ambiente, capace di trasformare le informazioni in conoscenza. Studiare il cervello come sistema aperto significa studiare anche l’ambiente in cui interagisce e in cui è immerso e non solo limitarsi agli aspetti neurobiologici, che pure sono indispensabili. L’insieme delle relazioni che costituiscono una connessione armonica con l’ambiente, dà origine a ciò che Vitiello definisce “esperienza estetica”, l’esperienza cioè di essere in armonia con il mondo. Pier Luigi Marconi (Fondazione Mario Lugli), nella sua veste di psichiatra, ha indagato la difficile terra di mezzo tra i dati clinici osservativi, le osservazioni sul cervello e i resoconti clinici soggettivi riferiti dai pazienti. L’approccio che tenta di ridurre a elementi semplici i fenomeni complessi ha una sua utilità che non può essere sottovalutata, ma è in ogni caso insufficiente e chiede di essere integrato in una prospettiva sistemica che rende visibili relazioni che non si basano solo sul nesso di causa-effetto, ma rivelano anche proprietà emergenti.
Esistenza e identità. Il punto di vista del pensiero antico. Come ha spiegato Roberto Radice (Università Cattolica), presentando il tema della II sessione, la parola più vicina a esistenza è hyparxis (sussistenza), che emerge solo in Plotino, accostata a hypostasis, ipostasi. Tuttavia, già in precedenza il problema dell’esistenza e dell’identità era stato affrontato, secondo prospettive diverse e con differente lessico, dai pensatori antichi, come emerso significativamente dai vari contributi.
In particolare, Ferruccio Franco Repellini (Università di Milano) ha evidenziato termini e testi riguardanti il tema di esistenza e identità dal punto di vista della conservazione del vivente in Aristotele, soffermandosi sui composti, su sostanza e accidente, su materia, forma, essenza e mutilo. Se le parti principali di un vivente mantengono il proprio funzionamento, se permane l’identità, esso si conserva. Michel Fattal (Université Pierre-Mendès-France di Grenoble) dopo alcuni approfondimenti sul termine exsistentia - che appare tardivamente nel periodo che separa l’Antichità dal Medioevo per designare l’“uscire da” di qualcosa che deriva - ha esaminato l’uso dei termini hyparxis e ipostasi in Plotino. Essi caratterizzano l’Identità Sussistente della prima ipostasi, da cui procedono gli altri livelli ontologici; il carattere dinamico e produttivo della prima Esistenza è la condizione di esistenza di tutte le esistenze derivate. A partire dall’Auto-Identità dell’Uno-Bene si dispiega l’intero processo derivativo plotiniano, fino all’esistenza e identità dell’uomo, da Fattal analizzate a confronto con l’Esistenza e l’Identità dell’Uno. Maria Luisa Gatti (Università Cattolica) partendo da un’analisi lessicale di “pianta” e “radice” in Platone, ha presentato la metafora platonica dell’uomo come pianta rovesciata con le radici in cielo, in relazione agli antecedenti culturali della metafora antropomorfica dell’albero, da Ovidio, alla Bibbia, a Dante e a Shakespeare. L’esistenza dell’individuo, il suo radicamento nell’Assoluto -nonostante alcune difficoltà causate dalla dottrina della metempsicosi -, si fonda nel Timeo sulla dottrina dell’anima razionale in rapporto con il corpo e le altre “parti” mortali dell’anima, sulla produzione del cosmo e dei viventi da parte del Demiurgo e degli “dei inferiori” mediante enti matematici e, infine, sul nesso fra i generi supremi dell’Identico e del Diverso. Da parte sua Nicoletta Scotti Muth (Università Cattolica) si è soffermata sul secondo termine del binomio esistenza-identità, interrogandosi sul ruolo che Aristotele attribuisce alla materia nella costituzione degli enti particolari concreti, cioè delle sostanze. Pienamente soggetti sono innanzitutto e fondamentalmente le nature viventi individue, generate da altri individui della medesima specie. Benché nel pensiero greco classico manchi un termine per esprimere l’esistenza, è chiaro che per Aristotele ciò che è pienamente reale, e che quindi esiste, sono solo le sostanze. È indicativo che, nella celeberrima analisi dell’ousia condotta nei libri VII e VIII della Metafisica, Aristotele abbia cura di far procedere il discorso sempre su un doppio binario, logico e fisico, segnalando così che questi due piani, se pur separabili sul piano della conoscenza, sono invece intrinsecamente connessi su quello della realtà.
Infine, Bernard Collette-Ducic (Université Laval, Québec) ha analizzato il problema di esistenza, sussistenza e identità nell’animale nel pensiero degli Stoici, attraverso la teoria della oikeiosis (familiarizzazione) e della coscienza di sé. La dottrina stoica dell’oikeiosis si fonda su una concezione dell’esistenza che fa dell’identità con se stessi e del riconoscimento di sé a priori la base della sopravvivenza di sé e della specie.
Essere, esistenza e modalità d’esistenza. Le sessioni III e IV, coordinate rispettivamente dai professori della Cattolica Sergio Galvan e Alessandro Ghisalberti, hanno messo a fuoco le modalità di esistenza e i rapporti tra essere ed esistenza. Il professor Galvan ha discusso, da un lato, il predicato di esistenza e i suoi rapporti con il sapere scolastico (Duns Scoto) e tardo-scolastico (Suarez) e, dall’altro, le logiche modali predicative. Si sono poi susseguite le relazioni di Antonella Corradini e Ciro De Florio, entrambi dell’Università Cattolica, che hanno analizzato lo statuto ontologico di enti astratti come i valori e i numeri naturali. È stata poi la volta dell’analisi dei rapporti tra essere ed esistenza nella riflessione metafisica di Tommaso d’Aquino e del pensiero classico. Sir Anthony Kenny (Oxford University) ha discusso le differenti tipologie di essere predicativo secondo l’Aquinate; Giovanni Ventimiglia (Università Cattolica) ha proposto una possibile semantizzazione della distinzione tra essere ed esistenza in base a una certa lettura del pensiero di Frege. Il professor Ghisalberti ha messo a confronto le istanze tipiche della metafisica classica con le critiche all’onto-teo-logia di marca heideggeriana e la recente ripresa ad opera di Jean-Luc Marion.
Esistenza e forme dell’esperienza. La V sessione, condotta da Massimo Marassi e con discussant Guido Boffi e Lorenzo Fossati (Università Cattolica), è stata aperta da Arno Münster (Université de Picardie Jules Verne di Amiens) che ha proposto una profonda disamina del pensiero di Bloch - di cui è stato allievo diretto a Tübingen - ricostruendone le diverse fasi. Quella giovanile, rappresentata emblematicamente da Spirito dell’utopia e caratterizzata dall’influsso di Kierkegaard, evidenziando in particolare il tentativo blochiano di una paradossale conciliazione del filosofo danese con Meister Eckhart e con il Kant della seconda Critica in direzione di una “ragione pratico-mistica”, a suo avviso caratterizzante una soggettività meta-razionale e religiosa. Quella matura, successiva alla conversione al marxismo, la cui espressione precipua è Il Principio Speranza ed è influenzata, in negativo, da Heidegger: al privilegio degli aspetti negativi dell’esistenza da parte di quest’ultimo, Bloch oppone l’affetto positivo e pratico della speranza, sfociante in un messianismo utopico che si caratterizza per il potere proiettivo dei “sogni diurni” intesi come possibilità di pensiero rivolto al cambiamento del mondo. Jean-François Courtine (Université Paris-Sorbonne) riflettendo su La chose et l’oeuvre. Martin Heidegger, ha sostenuto che la risposta alla domanda essenziale su “cosa sia una cosa in quanto cosa” non può essere risolta nella dimensione universale della scienza perché essa non si concentra sulla res singularis e non coglie la sua haecceitas - per dirla nei termini di Duns Scoto. Luogo precipuo per rispondere al quesito è invece l’ambito estetico e nello specifico l’opera d’arte: solo in essa - e Courtine lo mostra mediante un’approfondita analisi dell’acquarello La lepre di Dürer (citato da Heidegger in Kunst und Wahrheit) - è possibile attingere la dimensione della “messa in opera” di una verità singolare ed esistenziale che rivela l’essenza della cosa stessa. Questa, per Courtine, è esattamente ciò che James Joyce intendeva con il termine “epifania”: l’improvvisa manifestazione spirituale, lo stupore di fronte a una cosa ordinaria colta per ciò che è, ossia nella coincidenza - tommasiana - di claritas e quidditas.
Giudizi di identità, processi di identificazione, coreferenzialità. Alla VI sessione, dedicata alla filosofia del linguaggio, hanno partecipato Eva Picardi (Università di Bologna) e Savina Raynaud (Università Cattolica), che ha presieduto il dibattito. Al centro degli interventi il tema dell’identità in Frege. Secondo Frege non tutti gli enunciati di identità sono tautologici e conoscibili a priori. Se è vero che per accertare se “Cesare=Cesare” o “Cesare è Cesare” sono veri non si richiedono conoscenze empiriche, “Cesare=il conquistatore della Gallia” o “Cesare è il conquistatore della Gallia” le richiedono perché “Cesare” e “il conquistatore della Gallia”, benché si riferiscano entrambe allo stesso uomo, lo fanno mediante concetti diversi, concetti che Frege chiama sensi. Nella stessa sessione Aldo Frigerio (Università Cattolica) ha trattato il tema dei criteri di identità e Marco Passarotti (Università Cattolica) ha evidenziato l’utilità di alcuni strumenti linguistico-computazionali nello studio dei testi filosofici.
La metafisica classica e la sua eredità. La VII sessione concernente, per dirla con le parole di Michele Lenoci che l’ha coordinata, si è focalizzata su ciò che era stato sempre presente, seppur in sottofondo, nelle sessioni precedenti. Enrico Berti (Università di Padova), facendo risalire l’espressione “metafisica classica” ai suoi “veri maestri”, ossia Marino Gentile e Gustavo Bontadini, ha mostrato come con essa possa intendersi la metafisica aristotelico-tomista a patto che essa venga essenzializzata e storicizzata: in questo modo, richiamandosi al principio di Parmenide, si rileva infatti che, se assolutizzati, il divenire (per Bontadini) e la totalità dell’esperienza (per Marino Gentile) si rivelano problematici - ossia non in grado di spiegare da sé la propria esistenza - e pertanto necessitanti di una fondazione metafisica. Di fronte agli ultimi esiti del pensiero bontadiniano e alla metafisica moderna, inaugurata da Suarez, Berti si richiama alla lezione di Gentile, proponendo quella che egli definisce una “metafisica (epistemologicamente) debole, umile” in grado sia di resistere più tenacemente alle obiezioni del pensiero contemporaneo sia di stabilire un reciproco rapporto di indipendenza tra metafisica e fede religiosa: tale forma di metafisica infatti non porta all’obbligo della fede, ma al contempo non la impedisce in quanto lascia all’uomo lo spazio e la libertà di credere. Paul Gilbert (Pontificia Università Gregoriana di Roma) ha invece proposto quello che egli stesso ha definito “un testo di ricerca, di laboratorio” intitolato Filosofia prima? La causa, il principio e l’origine. A partire dalla duplicità metodologica che ha caratterizzato l’intera storia della filosofia tra una via ascendente (dal particolare all’universale) e una via discendente (dall’universale al particolare), Gilbert ha sostenuto che i grandi filosofi sono coloro che le hanno percorse entrambe, sapendo giustificare la loro svolta da una all’altra mediante categorie assiali e si è poi concentrato sull’analisi delle categorie assiali di causa, principio e origine. Proprio quest’ultima si rivela per Gilbert la più importante, in quanto agganciandosi alla questione metafisica, è eminentemente fondativa: non solo perché in essa sono ricomprese le altre due categorie, ma soprattutto perché è in grado di significare la relazione essenziale tra fondante e fondante come libertà o, forse con nome migliore, come ciò che i cristiani chiamano Dio. Virgilio Melchiorre (Università Cattolica) ha riflettuto sul valore veritativo dei termini “sacro” e “divino”. Attraverso una profonda ricognizione della storia della filosofia occidentale - che da Anassagora, passando per Cusano, Kant, Hegel, Kierkegaard, Husserl, giunge sino a Merleau-Ponty - Melchiorre ha mostrato come ogni realtà possa darsi solo in un tessuto relazionale, come ogni grado d’essere implichi necessariamente l’altro: con-essere e con-essenza a un tempo che consente, nell’esperienza finita, l’“im-percezione” del fondamento dell’unità dell’essere, dell’infinito. In questo senso si può parlare della capacità simbolica delle cose, del loro rinviare costitutivo a ciò che le costituisce e le contiene, e quindi di una necessità di una loro fenomenologia per cogliere il fondamento. Gesti e nessi costitutivi, attenzione ermeneutica e speculazione stanno così in una circolarità, la quale, però, è solo un approccio metodico per spingerci all’ascolto profondo dell’essere. Dario Sacchi (Università Cattolica), invece, ha rintracciato all’interno della storia della filosofia, transitando dalla Critica della ragion pura kantiana fino a giungere alla logica attuale, la concezione di esistenza in grado di giungere a un coerente esito di trascendenza. Per Sacchi lo snodo fondamentale è nel rapporto, da intendere in senso tomistico e non alla luce della tradizione successiva inaugurata dal Caetano, tra analogia di proporzionalità e di attribuzione: la proporzione trova infatti il suo senso solo in un’analogia di attribuzione intesa in senso intrinseco, ossia rinviante a un primo esente dai limiti delle sue estrinsecazioni. Questo primo crea con atto libero e, ponendosi come ipsum esse subsistens, pone al contempo la gerarchia degli enti: questa per Sacchi è la vera metafisica classica.
Identità, cittadinanza, democrazia. Nell’ambito dell’VIII sessione, moderata da Evandro Botto, direttore del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa e con discussant Alessandra Gerolin e Giuseppe Bonvegna, Nicholas Rengger (University of St Andrews) ha presentato una relazione sul percorso intellettuale di Charles Taylor, sottolineando in particolare come la prospettiva liberale elaborata dal filosofo canadese in Multiculturalism and ‘The Politics of Recognition’ (1992) sia stata successivamente ampliata in modo da risultare più solida e fondata all'interno del volume A Secular Age (2007). Marco Cangiotti (Università di Urbino) si è concentrato sull’analisi della proposta filosofica di John Rawls sul tema della giustizia sociale e del rapporto tra etica e politica, mettendo in luce la necessità che tale proposta si radichi in una concezione metafisica della persona e del bene comune.
Identità morale ed esistenza pubblica. La sessione IX del convegno, presieduta dal pro rettore Francesco Botturi e animata dagli interventi di Jean-Marc Ferry (Université Nantes) e Gabriele De Anna (Universitat di Bamberg), ha avuto due discussant dell'Ateneo: Paolo Gomarasca e Giacomo Samek Lodovici. Ferry ha insistito sulla necessità di superare quella che ha chiamato la “scomunica politica” del religioso, suggerendo con ciò l’importanza di pensare uno spazio pubblico di incontro e confronto tra convinzioni religiose e atee, al fine di raggiungere un consenso necessario al funzionamento democratico. La metodologia appropriata a questo nuovo spazio pubblico deve essere quella propria della democrazia deliberativa, fondata sulla disponibilità degli attori sociali a giustificare la propria posizione di fronte agli altri, cioè a tradurre le proprie ragioni religiose o non-religiose in ragioni pubbliche, comprensibili da tutti. Al centro dell’intervento di De Anna c’era il nesso fondamentale, sia dal punto di vista antropologico, sia dal punto di vista politico, tra identità individuale e comunità. De Anna ha mostrato come la dimensione comunitaria sia essenziale non solo per lo sviluppo pienamente umano della persona, ma anche per il corretto funzionamento di una democrazia. Fino al punto di sostenere che uno Stato democratico, tenuto conto del nesso individuo-comunità, avrebbe il compito imprescindibile di difendere e promuovere il perfezionamento personale e sociale dell’individuo.
La crisi del soggetto e la bioetica. Nel corso della X e ultima sessione, guidata da Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica, Francesco Adorno (Università di Salerno), dopo una puntuale ricostruzione del tema del post-umano, a fronte delle sue prossimità con le tematiche del transumanismo e dell'ibridazione uomo-macchina, ha svolto una critica del paradigma esistenziale che esso sembra schiudere a partire dalla tesi per cui “la vera vita è sempre altrove”. Per rispondere alla sfida pratica e teorica del post-umano diventa significativo riprendere il percorso filosofico dei Cinici, in accordo con la lettura che ne ha proposta Foucault, in modo da poter cogliere in che cosa consista una “vera vita” contrapposta alla “vita di cartapesta” che emerge negli autori della galassia del post-umano. La seconda relazione, tenuta da Elena Postigo Solana (Universidad Ceu San Pablo, Madrid), ha avuto per oggetto il tema dello Human Enhancement (HE) di cui ha ricostruito la traiettoria filosofica alla luce della questione della tecnicizzazione del desiderio umano. L’urgenza teorica è quella di una riconsiderazione della questione della natura umana, a fronte delle sue molteplici semantiche attuali, finalizzata a cogliere, alla luce della distinzione tra terapia e miglioramento, patologia e normalità, i limiti entro cui individuare le condotte aumentative che hanno per oggetto l’uomo. Al tema del rapporto tra soggettività e neuroscienze è stata dedicata la terza relazione, tenuta da Massimo Reichlin (Università San Raffaele), il quale ha mostrato come sia impraticabile la pretesa liquidazione della soggettività rivendicata da alcune linee teoriche. La smentita della soggettività è, in realtà, una smentita soltanto di un certo tipo di soggettività, quella cartesiana. L’uomo non è semplicemente la sua coscienza, ma un essere corporeo soggetto al mutamento e in cui l’affiorare della coscienza dipende da una serie di condizioni. L’errore di alcune linee teoriche che si occupano dei risultati delle neuroscienze è, così, quello di confondere il normale con il patologico e di non riconoscere l’importanza che un fenomeno come l’accudimento - con il carico di passività che rivela - ha per la soggettività umana. I tre relatori sono stati affiancati nella loro discussione da Alessio Musio, Alessandra Papa ed Elena Colombetti.