Il master, un incontro che cambia la vita. Anzi, due. Quelle di Bianca Sartirana e Federico Caponera, che, nelle aule della Cattolica, hanno creato un sodalizio per la professione e per la vita. Dopo l’incontro, giovanissimi, al master in Scrittura per la Fiction e il Cinema (oggi Misp) nel 2010, sono diventati marito e moglie e genitori di due bimbi. Ma sono anche i fondatori di una startup, un’agenzia non convenzionale nel campo della comunicazione, con un’ambizione internazionale.
Quando è nata l’idea di lanciare "Save the Cut"? «L’idea di fare qualcosa insieme è nata già durante il master. Poi, verso la fine del 2012 abbiamo realizzato un progetto per l’Università Campus BioMedico di Roma. Si trattava di una web series di branded content, “Dr. Rob”, interpretata da studenti e dipendenti dell’Ateneo e focalizzata sui valori del brand. Nel team di lavoro abbiamo coinvolto anche ex colleghi del master. Il cliente ha proposto di veicolare il prodotto, in origine per uso interno, sul web raggiungendo in poco tempo circa 50mila visualizzazioni su YouTube. Abbiamo capito che si trattava della strada giusta e abbiamo cominciato a lavorare sul progetto di Save the Cut.»
Cosa vi differenzia maggiormente dalle agenzie tradizionali? «Soprattutto l’utilizzo dello storytelling sempre e comunque: che si tratti di un video, di un sito, di una campagna. Crediamo nell’opportunità di far affezionare l’utente a una storia e di conseguenza al brand che la racconta».
“Trasformare la comunicazione in cinema”: un concetto affascinante, ma c’è qualcosa che non può diventare “opera d’arte”? «Siamo convinti che il modo di comunicare qualcosa sia, talvolta, più importante del messaggio stesso. L’idea è proprio questa: lanciare un messaggio usando lo storytelling, per generare nel destinatario un interesse attivo ed emotivo. In questo senso pensiamo che tutto possa essere raccontato attraverso una storia. Senza eccezioni. La parte difficile è trovare la storia giusta e raccontarla nel modo giusto».
Come buttarsi in una nuova un’attività imprenditoriale? «Bisogna cercare un progetto veramente originale, che sappia inserirsi in ambiti non ancora esplorati e circondarsi di una squadra di persone professionalmente capaci, affidabili e umanamente valide, perché i momenti di stress e di fatica, inevitabili per una start-up, si superano sempre insieme alla squadra. Crediamo inoltre che la passione e la creatività siano il punto di partenza di ogni realizzazione professionale. Ovviamente da sole non bastano: ci vuole volontà, attenzione ai dettagli, spirito di sacrificio e un piano progettuale sostenibile».
Progetti futuri? «Per il 2017 abbiamo in cantiere diversi set, sia per clienti esterni che per progetti interni, come la realizzazione di un cortometraggio autoprodotto. Il progetto è l’esito di un contest che abbiamo realizzato a marzo 2016 e a cui hanno partecipato in gara molti giovani professionisti. I partecipanti hanno avuto la possibilità di raccontare le proprie storie al regista Andrea Molajoli e la giuria, composta tra gli altri dal professor Armando Fumagalli, ha poi selezionato l’idea vincitrice. Attualmente il corto è in fase di preproduzione. L’obiettivo è il circuito dei festival internazionali».
Il master, oltre che sulle vostre vite personali, ha inciso sul vostro lavoro. «Ci ha insegnato la scrittura e l’editing, che sono il nostro pane quotidiano. Abbiamo avuto modo di approfondire, sia nella teoria che nella pratica, le lezioni di numerosi esperti di sceneggiatura, da Robert McKee a John Truby, da Dara Marks a Christopher Vogler. Randall Wallace ci ha ispirato raccontandoci come è nata l’idea di Braveheart e di altri film da lui realizzati. Senza dimenticare i contatti che ci siamo creati grazie al master, sia per quanto riguarda ruoli tecnici e creativi, sia dal punto di vista delle aziende e dei professionisti con cui siamo entrati in contatto durante i mesi in Cattolica e che abbiamo potuto incontrare nuovamente in seguito».