Tendenza alla flessibilità e all’adattabilità, prevalenza di capacità relazionali e uno stile cooperativo e informale nella gestione dei rapporti. Sono il tratto inconfondibile del’impresa al femminile. Almeno di quella che esce dallo studio che la ricercatrice dell’Università Cattolica Ivana Pais, ha condotto per conto di Confartigianato, su cinque coppie di imprese analoghe per settore, numero di dipendenti e fatturato delle provincie di Milano e Monza Brianza, guidate da un uomo e da una donna. L’ascolto dei leader, dei soci e dei dipendenti di ciascuna azienda e il confronto tra impresa femminile e maschile lascia trapelare risultati interessanti.
Innanzitutto la scelta di svolgere un’attività autonoma per le imprenditrici intervistate non sembra dettata dalla necessità di avere un lavoro per assenza di alternative, ma dalla determinazione di intraprendere un preciso progetto lavorativo e dall’esigenza di autorealizzarsi. Il marito solitamente non lavora in azienda e spesso è occupato in altri settori. Tutte le intervistate sono spinte da una forte passione per il loro lavoro e trovano soddisfazione nel loro rapporto che riescono a instaurare con clienti e fornitori.
Per quanto riguarda il nodo cruciale della gestione simultanea di carriera e famiglia emerge che le imprenditrici non rientrano nello stereotipo comune dell’inconciliabilità, materiale e simbolica: al contrario cercano di gestire il tempo in modo da passare la maggior parte della giornata in azienda ed essere comunque presenti nella vita dei loro familiari. E allo stesso tempo i familiari sono un sostegno per le imprenditrici: i mariti sono una spalla non solo per l’organizzazione familiare ma anche, in alcuni casi, per un aiuto informale in azienda. I confini tra azienda e famiglia cadono in entrambe le direzioni: ci sono casi in cui le imprenditrici hanno aiutato un familiare, dandogli un lavoro in un momento di difficoltà.
Dal confronto tra le imprese non emergono specificità nel posizionamento strategico delle imprese femminili rispetto a quelle maschili, soprattutto in un tempo difficile come quello della crisi. Per individuare elementi caratterizzanti bisogna indagare dimensioni meno evidenti, legate ai processi di attribuzione di senso: se tutti gli intervistati dichiarano una centralità delle risorse umane, il diverso utilizzo del “noi” è un primo segnale di un approccio differente alla gestione delle risorse umane.
Uno degli aspetti della gestione femminile considerato più positivo emerge proprio nell’ambito dell’organizzazione del lavoro: le imprenditrici si relazionano con i propri dipendenti con un approccio particolarmente personalizzato, dialogico e partecipativo, che si traduce anche in un’attenzione specifica per le loro esigenze extra-lavorative ed è largamente apprezzato dai collaboratori che si sentono facilitati anche ad affrontare situazioni stressanti.
Dall’analisi degli studi di caso, la costruzione e il mantenimento di un network sono emersi come fattori cruciali, soprattutto per aziende artigiane che basano la propria competitività su relazioni fiduciarie con fornitori e clienti. E proprio da qui emergono le differenze più evidenti tra la gestione femminile e maschile dell’impresa.
Le imprenditrici collocano al centro delle reti di supporto interne all’azienda i collaboratori a cui hanno delegato responsabilità organizzative e di coordinamento. Alla prova dei fatti, invece, molti dipendenti dichiarano di rivolgersi direttamente a loro in caso di necessità. Al contrario, gli imprenditori, che adottano uno stile più direttivo, tendono a percepirsi più centrali nelle reti informali di quanto emerga dalle dichiarazioni dei loro dipendenti.
Nelle relazioni esterne all’azienda, la situazione si capovolge: le donne hanno reti esterne di supporto piccole, poco dense e prevalentemente formate da uomini. D’altro canto, hanno a disposizione un importante capitale relazionale, creato attraverso la partecipazione ad attività ludiche, espressive o di volontariato, di cui solo raramente riescono ad appropriarsi per la propria attività professionale. Da questo quadro, emerge la necessità di una maggiore attenzione alle reti sociali delle donne nel mercato del lavoro e di un investimento intenzionale in capitale sociale, da realizzarsi anche attraverso nuove forme di associazionismo.