È passato più di un anno da quando la paura per il debito pubblico greco ha destabilizzato la moneta unica europea. E la tempesta non si è ancora calmata. Il primo ministro portoghese, José Socrates, ha rassegnato le dimissioni e si teme che il suo successore dovrà contrattare l'ennesima operazione di salvataggio da parte di Bruxelles. La crisi libica e il dramma giapponese contribuiscono alla precarietà della situazione e le magre prospettive di crescita dei paesi occidentali non aiutano a scorgere la luce in fondo al tunnel. Di tutto questo e delle risposte messe in campo dall’Ue si è discusso lo scorso lunedì 28 marzo durante la presentazione dell’anno accademico dell’Alta Scuola di Economia e relazioni internazionali (Aseri) dell'Università Cattolica. Ad affrontare il tema è stato Riccardo Ribera d'Alcalà, responsabile della Direzione generale per le politiche interne del Parlamento europeo, che nel suo intervento ha tirato le fila del complesso processo di integrazione cui l’Eurozona è stata spinta, anche dopo i recenti avvenimenti. All’incontro The European Economic Governance: Challenges and Dynamics, sono intervenuti il rettore dell'ateneo Lorenzo Ornaghi e Simona Beretta, docente di International Economic Policies.
Tra i nuovi strumenti messi in campo dall'Ue, un ruolo centrale ha l'Euro Plus Pact, successore del Patto di stabilità e crescita. È per lo più noto per aver introdotto meccanismi di sanzionamento semiautomatici ai Paesi che non rispettino il tetto massimo del 3% imposto al rapporto deficit/Pil, del 60% per il debito pubblico, e per l’aver imposto un rigido piano di rientro ai paesi in cui quest'ultimo sia già oltre i parametri massimi, come nel caso del'Italia. Il nuovo Patto sancisce anche l'influenza dell'Unione in ambiti sino ad ora prerogativa assoluta degli Stati membri quali l'età pensionabile, l'indicizzazione di salari e stipendi, l'armonizzazione fiscale. Sono state costituite inoltre tre autorità di vigilanza economica e finanziaria, ed è stato istituito il cosiddetto “Semestre europeo”, sistema di sorveglianza dei bilanci annuali degli Stati.
«Se lo scopo di questi provvedimenti è solo quello di calmare gli spread sui titoli di stato – ha avvertito Riccardo Ribera d'Alcalà – sono destinati al fallimento. E il prezzo che i cittadini europei dovranno pagare sarà molto caro. È necessario che i Paesi membri in questi ambiti perseguano seriamente una politica comune». Per rafforzare questa tesi, il responsabile della Direzione generale per le politiche interne del Parlamento europeo ha anche riferito del confronto tra la condizione economica di Nevada e Irlanda fatto dall'economista Paul Krugman: «I massimali dei due stati sono estremamente simili – ha detto – ma il Nevada naviga in acque estremamente più tranquille perché beneficia dell'ombrello di un governo federale forte, sotto cui il mercato di merci, capitali e persone è realmente unitario. L'Ue paga un'integrazione ancora debole».
Tra i nuovi strumenti a disposizione dell’Ue, importantissimo è l'Efsf, il fondo per il salvataggio dei Paesi in crisi. A questo succederà l' Efsm, l’European Financial Stabilisation Mechanism, che a differenza del primo avrà una dotazione propria e permanente. È inoltre ancora in corso al Parlamento Europeo il dibattito sull'istituzione degli Eurobond, ovvero titoli di debito pubblico emessi dalla stessa Unione. Si tratta di misure sufficienti a portare coesione? Secondo Ribera d’Alcalà, l’Europa non paga solo il paradosso di essere un'unione monetaria a cui non corrisponde un governo economico unitario. «Manca la coesione culturale. Se vogliamo trovare una via d'uscita questo elemento è importantissimo. La crisi infatti non si può spiegare solo in termini economici. C'è stata un'inversione di valori e al lavoro è stata anteposta la speculazione. Molte delle sfide che si pongono oggi si possono superare solo se si riesce a riportare l'economia sui binari giusti. E per fare questo serve un forte consenso da parte di tutti».