L’emigrazione colta da un insolito punto di vista: quello di chi resta al paese d’origine e vede i propri famigliari partire in cerca di lavoro. Questo è il tema del romanzo Picciridda, presentato dall’autrice siciliana Catena Fiorello ospite lo scorso 8 marzo del corso di alta formazione in Scrittura creativa. A fare gli onori di casa, la coordinatrice del corso, Giuliana Grimaldi, e il professor Michele Di Pasquale.
Dopo il saggio in due volumi Nati senza camicia, interviste a persone che sono partite da zero e sono arrivate al successo, Picciridda è la seconda fatica letteraria della scrittrice, opera che ha richiesto una grande documentazione e a cui l’autrice si sente molto legata tanto da curare persino l’immagine di copertina. La storia è raccontata con gli occhi della protagonista, Lucia, bambina magra e bruttina di Leto che vede partire i propri genitori e il fratello minore in cerca di fortuna in Germania e che perciò viene affidata alle brusche cure della nonna. La vicenda, una vivida pennellata della Sicilia degli anni Sessanta-Settanta, vuole essere lo specchio di una realtà poco riportata ovvero l’emigrazione passiva, non vissuta in prima persona e purtroppo spesso condita da violenze e traumi psicologici. Durante la discussione è poi venuto alla luce un secondo tema, quello della doppia identità di chi emigra, una sorta di limbo in cui si ritrova chi viene da un lato rinnegato dal paese d’origine e dall’altro non viene mai pienamente accettato dalla terra d’adozione.
Catena Fiorello ha ricordato come molti lettori si siano rivisti nelle pagine del suo romanzo e di come abbiano pianto e riprovato l’antico dolore: e questo è per lei il vero successo del libro. Per l’autrice, infatti, lo scopo di chi scrive è arrivare nella testa e nel cuore di tutti, insegnamento appreso dalla lettura di Essere senza destino del premio Nobel Imre Kertész. Proprio il romanzo dell’autore ungherese le ha fatto capire quanto uno stile di scrittura semplice e comprensivo sia la chiave giusta, mentre sia deleteria la ricerca di parole difficili, nobili e ricercate.
La Fiorello, che non ha avuto il fuoco sacro della scrittura fin da giovane, è diventata adesso una vorace divoratrice di libri: in media sei al mese. Scrive non volendosi mai prendere sul serio, con l’umiltà e la passione di chi vuole raccontare una storia solo per il piacere di farlo e non per i ricavi. Il problema più grande che trova nella stesura dei suoi romanzi è la ricerca dell’equilibrio, sia tra i personaggi e sia rispetto alla lunghezza delle frasi. Tutto deve essere al servizio di un unico fine: non annoiare il lettore.
Dopo alcune considerazioni sulla figura dell’editor e sulla meritocrazia nel mondo della letteratura, in un piacevole fuori programma, l’attrice teatrale Mara Di Maura, ha chiuso la serata leggendo un passo di Picciridda. Catena Fiorello si è accomiatata ricordando le fatiche dello scrittore: «Scrivere è uno dei lavori meno remunerati e più pesanti al mondo, ma al tempo stesso è uno dei più belli per la consapevolezza che il proprio pensiero verrà letto, girerà per le case, per le macchine, per i pullman e che chiunque a distanza di tempo potrà riaprire il tuo libro e rileggere ciò che hai scritto».