In tedesco si dice “mi cade in mente”; in italiano “mi viene in mente”. La vaghezza di queste espressioni rende bene l’idea del momento in cui una traccia permette allo scrittore di cominciare a sviluppare una storia. L’esatto istante in cui un’idea nasce nella mente di uno scrittore rappresenta l’inizio del processo creativo. È il tema di cui si è dibattuto lo scorso 29 aprile nella Cripta dell’aula magna di largo Gemelli al primo di una serie di incontri con scrittori ed editori, promosso dal dipartimento di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Ateneo.
Gillian Ania, docente dell’università di Salford e visiting professor in Cattolica, ne ha parlato con la scrittrice milanese Paola Capriolo.«L’idea può venire da un’immagine, un’associazione, come una cellula primordiale che poi va sviluppata», ha detto quest’ultima, parlando della sua personale esperienza. La scrittrice ha descritto la sensazione che prova quando si accorge che qualcosa sta nascendo: inizia con un brivido, qualcosa di sfumato, che pulsa perché non è inerte. Non è un’entità indeterminata, al contrario si presenta come un’evidenza. «Ho la precisa impressione che il libro sia già lì - ha aggiunto -. L’idea iniziale è qualcosa che cresce come un organismo».
Durante la stesura la storia può prendere una direzione diversa da quella scelta inizialmente e, a volte, può cambiare anche il finale, a causa della suggestione di una parola o di un’immagine. Non sempre un libro prende vita da una sensazione sfumata e dai contorni poco chiari, a volte il punto di partenza è preciso e nitido. È il caso di una delle prime opere della Capriolo, Il nocchiero. «All’origine di questa opera rintraccio una cellula germinale ben precisa» ha detto la scrittrice, che ha raccontato di essere rimasta molto colpita da un documentario sulla Shoah e, in particolare, dalla testimonianza di un macchinista che ogni giorno trasportava i prigionieri, e lo faceva completamente ubriaco, per alleviare il dolore e la vergogna. Lo stato onirico del macchinista è lo stesso in cui si muove il protagonista del libro.
Altre volte invece può essere un fatto di cronaca o una vicenda storica a dare l’impulso alla nascita di una storia, ha spiegato la scrittrice, facendo riferimento a No, il suo ultimo libro per ragazzi, che prende spunto dalla vicenda di Rosa Parks, la donna statunitense che nel 1955 mentre tornava da casa sull’autobus si rifiutò di alzasi per lasciare il posto a un bianco. L’opera letteraria non è solamente una trama in cui luoghi e personaggi si mescolano, ma anche l’atto di dare forma all’idea. Per questo Gillian Ania ha chiesto alla Capriolo quanto sia importante armonizzare forma e contenuto. «È fondamentale - ha detto la scrittrice - ci deve essere un rapporto voluto e consapevole, che può essere sia di armonia che di discrepanza, a seconda degli scopi e della volontà». Ma allora vale di più la magia espressiva della trama o della lingua? «Mi piace pensare che lo scrittore sia in un certo senso vittima delle parole e che siano quest’ultime a dare vita al racconto». In questo senso la letteratura è pensiero che si fa forma, e lo scrittore è uno strumento, che lavora senza mai sosta.