Un cerchio che si chiude, un ciclo creativo che giunge a compimento. Così Susanna Tamaro sente il suo ultimo parto letterario Il Grande Albero, che la scrittrice ha presentato nell’incontro organizzato dal corso di alta formazione in Scrittura creativa dell’Università Cattolica che si è tenuto a Milano lo scorso 18 febbraio nell’aula Bontadini. La Tamaro ha raccontato della lunga gestazione della sua ultima opera, una fiaba ecologica poetica e sorprendente. Il libro è stato lo spunto per una lunga conversazione sulla sua esperienza di creatività insieme al direttore del corso, Giuseppe Farinelli, e alla coordinatrice, Giuliana Grimaldi.
Il Grande Albero è una favola che Susanna Tamaro ha cullato nei suoi pensieri per dieci lunghi anni: nella sua mente fin dall’inizio è stata chiara la poetica di fondo che doveva animare il libro, ma mancava una storia che la portasse in sé. Poi, durante una escursione in montagna, la scelta casuale di un sentiero l’ha condotta al cospetto di un abete maestoso, e la trama è apparsa in un baleno. Con questo aneddoto, la scrittrice ha voluto evidenziare come l’ispirazione sia un mistero, un regalo che arriva quando meno te lo aspetti, soprattutto un dono che si può cogliere soltanto vivendo appieno la propria esistenza, senza arroccarsi nella torre d’avorio dell’intellettuale.
Tuttavia, scrivere non è certo solo ispirazione. È un lavoro logorante, che la scrittrice non sceglierebbe una seconda volta: alla ricerca della perfezione bisogna essere impietosi con se stessi, non affezionarsi a ciò che si è scritto, saper buttare anche venti pagine di lavoro, se ci si rende conto che non portano dove si doveva arrivare. È un continuo contrasto tra ragione e istinto: la trama andava in una certa direzione perché era logica, poi il personaggio vive da solo e ti porta altrove, dove sta il vero, che spesso sfugge ai nostri parametri di razionalità. E così si deve ricominciare da capo.
Osservare la realtà con occhi attenti è la prima dote dello scrittore, ha spiegato Susanna Tamaro. Saper cogliere ciò che sfugge ai più è un grande dono, scoprire un senso profondo nascosto tra i fatti, ogni volta è una vera “epifania”: la ricerca spirituale della scrittrice è stata lunga e tortuosa e l’ha portata al mondo cattolico dopo un percorso che è passato dall’Oriente per tornare all’Occidente con una nuova consapevolezza.
Alla domanda di un lettore, la Tamaro ha risposto riconoscendo che la sua cristianità vive nel profondo delle sue storie, ma certo senza alcuno scopo didattico o apologetico. Del resto la letteratura è animata dalla stessa ricerca della verità e della conoscenza che ispira la religione: la “letteratura che resta”, come ha specificato l’autrice, quella cioè che si rilegge più volte nel corso di una vita, perché in ogni fase dell’esistenza ha qualche cosa di nuovo da dire, sa illuminare sempre nuovi aspetti della realtà. Diversa cosa è la “letteratura che passa”, espressione con cui Susanna Tamaro, senza disprezzo, ha indicato tutti quei romanzi che si leggono per puro intrattenimento, una distrazione dalle fatiche quotidiane e nulla più.
La letteratura che resta è il frutto di una vita di lavoro: le parole sulle pagine vengono da lontano, dal sedimentarsi di esperienze e studi che consentono poi di fare sintesi, di distillare nel romanzo un condensato di vita, di far uscire dal foglio le emozioni, senza che esse sommergano la storia narrata. Per questo la prosa di Susanna Tamaro è così dosata e pulita: ogni aggettivo è scelto con accuratezza, perché solo quello può evocare la verità: solo da una lingua semplice - che non significa sciatta - può trasparire la profondità dell’esistenza di ogni uomo e il senso nascosto che traspare dalla natura, quel mistero che poi siamo tutti noi.