Milano Fashion Week 2010: alla fine della sfilata di D&G, Stefano Dolce e Domenico Gabbana portano alla ribalta tutti i maestri d’arte che hanno realizzato la collezione. In un periodo in cui il Made in Italy appare un po’ in affanno, la moda cerca di cambiare rotta. Lo fa grazie alla riscoperta di coloro che, grazie ad un lungo elenco di qualità, dal talento alla dedizione, dalla pazienza alla passione, hanno contribuito a rendere, negli anni Cinquanta, la moda italiana senza rivali nel mondo. I tempi, poi, sono cambiati. Si è cominciato a scindere il sapere dal fare, lasciando indietro gli artefici di quel mondo, capaci di equilibrare alla perfezione mente, mano e occhio. Persone che hanno sempre vissuto e operato con l’obiettivo di «creare le cose che fanno più bella la vita», come disse Valéry Giscard d’Estaing volendo definire il termine “lusso”.
Franco Cologni, presidente dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, nonché Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres parte proprio da questo aforisma, presentando il nuovo corso di studi in Sistemi di gestione dei mestieri d’arte all’Università Cattolica di Milano. Cologni, ex studente della Cattolica, cita Voltaire: «Laissez moi cultiver mon jardin: lasciatemi dire ciò che voglio», esordisce. Spiega di essere da 40 anni nel mondo del lusso internazionale, e di essere conscio che il vero lusso, anche in termini economici e in assenza dei maestri d’arte, sarebbe impossibile: «Ci sarebbe il caro, ma non il raro». Decide così di avanzare una proposta all’Università: perché non istituire una cattedra che insegni a valorizzare i maestri d’arte? «Maestri d’arte ci si nasce, non lo puoi imparare: è una formula perfetta di talento ed heritage del territorio da cui provieni. Ciò non toglie che sia fondamentale formare dei giovani in grado di scoprire nuovi talenti in attesa dell’esploratore. O del brigante». Non ci stupisce, d’altronde, che vi siano persone pronte a truffare l’artista.
Per questo la Fondazione ha reso possibile, attraverso Paolo Dalla Sega, titolare della cattedra, questo corso, afferente alla facoltà di Economia, per sottolinearne la concretezza. «Mestiere, fare, meraviglia, comunità, purezza, rappresentatività sono i concetti chiave. È il momento di tornare alla maestria, a quel desiderio di fare bene il proprio lavoro, all’alchimia tra mano e testa, tra artifici e artefici», spiega Dalla Sega. Il modello da cui prendere esempio è Benvenuto Cellini che non dimenticò mai di essere stato un orafo all’inizio della carriera: lo dimostrano la sua devozione al lavoro e la pretesa purezza del materiale. Proprio al maestro fiorentino è stato dedicato il premio video-giornalistico, vinto dal reportage di Licia Negri I mestieri d’arte nella moda. I dettagli che fanno stile, un excursus tra i migliori atelier francesi e laboratori italiani, dove ricamatori, merlettaie e textile designer, tra dettagli e applicazioni, danno il meglio di sé alla ricerca della perfezione e dell’unicità: «In tempi di omologazione da un dettaglio scaturisce l’identità dell’abito stesso», ci ricorda Licia Negri citando Gianfranco Ferrè.
Infine, Catherine Virassamy, direttrice della francese Sema (Société d’encouragement des métiers d’arts), voce anch’essa della tavola rotonda, ha individuato in Francia 215 mestieri d’arte, escludendo tutto ciò che abbia a che fare con la tradizione culinaria e vinicola. «In Italia, se sommassimo cibo e bevande, arriveremmo a più di 300 mestieri d’arte che non aspettano altro che essere scoperti». Il corso Sistemi di gestione dei mestieri d’arte è nato proprio per questo.