Un’iniziativa per favorire la produzione culturale e per fare della cultura un investimento che possa reggere anche da un punto di vista economico. Era questo il senso del bando cheFare promosso da Doppiozero, che è stato presentato dal suo project manager Bertram Niessen, agli studenti del master Progettare cultura dell’Università Cattolica.
Sono oltre 600 i progetti presentati in risposta alla seconda edizione del bando: rispetto al primo anno non è cresciuto solamente il numero, ma anche la qualità dei lavori presentati. In finale sono arrivati i lavori di 40 fra associazioni, comunità, gruppi, votati da 71 mila persone. Il coinvolgimento del proprio pubblico è stato quindi fondamentale per passare la selezione, ristretta infine ad una rosa di 9 prescelti. Ha vinto Di casa in casa, un progetto per creare una rete di case di quartiere dove gestire esperienze e attività di cittadini, associazioni, operatori culturali.
Dall’analisi di questa iniziativa Niessen ha fatto notare agli studenti due dati da tenere in considerazione: l’attenzione al pubblico a cui si rivolge l’idea proposta, e quindi l’effettiva risposta del progetto a un bisogno; l’utilizzo di strumenti digitali come moltiplicatori di relazioni sociali e coinvolgimento (l’attività sui social, oltre che di persona, è stata fondamentale per conquistare i voti, e la stessa votazione dei progetti avviene online).
Le motivazioni che hanno portato Doppiozero, associazione culturale no profit, a ideare un bando di questo tipo sono da ricercare nell’attenzione ai cambiamenti in atto nella società e nella volontà di una loro interpretazione. Quali sono le nuove forme di produzione culturale in Italia? Le risposte a cheFare hanno prodotto una mappatura, con particolare attenzione ai segnali provenienti da gruppi e associazioni capaci di intercettare bisogni locali non colti dalle industrie culturali e creative mainstream, che hanno in nuce possibili risposte a un modello operativo che nel nuovo contesto economico e sociale sembra essersi inceppato.
Questa cornice porta con sé anche delle domande fondamentali su quale sia il senso della cultura e, come ha evidenziato Niessen, aiuta a riflettere sul ruolo dei lavoratori della cultura contemporanea, una fetta importante di popolazione che, a fronte di una struttura economico-lavorativa cambiata, non vede ancora riconosciuti il proprio valore e i propri diritti. Nonostante lo stanziamento di risorse da parte della Comunità europea alle industrie creative non sono ancora chiare le evidenze del ritorno economico sugli operatori del settore.
A queste realtà manca la consapevolezza di come gestire in maniera professionale la presentazione di una propria idea. Innescare processi virtuosi in tal senso è sicuramente un obiettivo che cheFare ha centrato guidando gli operatori culturali, attraverso le richieste del bando, nella costruzione di un progetto nel quale sono evidenziate: la sostenibilità economica nel tempo; il coinvolgimento del pubblico (esistente e nuovo); la capacità di comunicare in maniera aggiornata (non disdegnando i social).
Tutto ciò ha aiutato le associazioni a diventare consapevoli di ciò che spesso confina ottime idee a non crescere o non trovare finanziamenti adeguati. Alla domanda di una studentessa: «Quali sono gli errori che si riscontrano più spesso nei progetti presentati?», Niessen ha indicato la mancanza di attenzione a elementi formali (le richieste di chi ha redatto il bando), il non prevedere in modo chiaro delle entrate e, a volte, una certa naiveté nel gestire aspetti di comunicazione.
Tutti consigli preziosi per dei giovani che stanno cominciando la loro attività di progettazione culturale a partire dal progetto di medio periodo dedicato alla risposta al bando Transition (Transnational Networking for Social Innovation Incubation), una rete internazionale che ha l’obiettivo di sostenere lo scaling-up delle esperienze di innovazione sociale in Europa.
Gli studenti avevano già sentito parlare di cheFare e della crescita del progetto Le altre storie grazie alla partecipazione al bando, da Emanuela Daffra, responsabile dei servizi educativi di Brera. Anche se non è stato il progetto vincente, Le altre storie, come gli altri progetti arrivati in finale, ha usufruito di un coaching per misurare alcuni parametri del proprio lavoro e dell’attività di networking che ha aiutato lo staff del progetto a confrontarsi con altre realtà culturali, partendo da domande comuni, per identificare buone pratiche.
L’incontro con Bertram Niessen ha restituito un quadro del mondo culturale italiano con luci e ombre: intercettare le prime è un compito che spetta a chi sa farsene carico e guardare oltre, liberandosi da vecchi schemi. Le alternative sono possibili e ci sono già.