Un aiuto a orientare chi orienta: è nato con questa finalità il percorso Coaching e sviluppo di competenze: imparare a orientare che si è svolto nella sede milanese dell’Università Cattolica da settembre a dicembre 2014. Ottanta insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado, accompagnati da esperti del mondo universitario e scolastico, si sono confrontati su conoscenze e competenze necessarie a supportare gli studenti nel difficile percorso di scelta del proprio futuro.
Per comprendere meglio le caratteristiche e il ruolo del docente referente per l’orientamento nella scuola, si sono alternati momenti prevalentemente informativi a momenti di confronto e di lavoro in gruppo, incentrati su diversi temi. Michele Faldi, direttore Didattica, Formazione post-laurea e Servizi agli studenti, e Luca Pesenti, ricercatore di Sociologia, si sono occupati di funzionamento del sistema universitario e di innovazione nel mercato del lavoro. Renata Viganò, direttore del Ceriform, e Mario Dutto, ex direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia e del Miur, hanno parlato di valutazione in ottica orientativa. Giuseppe Scaratti, docente di Psicologia delle organizzazioni, e Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit, hanno discusso di Learning Environment.
Ad alcuni dei protagonisti nel mondo della scuola il compito di raccontare le difficoltà che incontrano nella loro esperienza di orientatori dei ragazzi. Parlano Anna Maria Ferrari del Collegio della Guastalla di Monza, Antonella Barbagallo del Liceo Vittorio Veneto di Milano, Elena Zago del Liceo Vittorini di Milano e Chiara Riboldi dell’Istituto Dehon di Monza.
D. Il termine del percorso scolastico e il periodo della scelta del proprio futuro è un momento importante per gli studenti. Come svolgere una reale azione di accompagnamento e di orientamento?
Ferrari: Il problema dell'orientamento è complicato dai nuovi scenari economici e globali che creano ansia e influenzano le scelte. Tuttavia il lavoro più faticoso è aiutare un ragazzo a cambiare il punto di partenza: non guardare solo alle professioni del futuro, ma tenere uno sguardo rivolto a se stessi e al contributo che si può dare alla società. Questo è il tema sul quale cerchiamo di fondare il nostro lavoro orientativo. Aiutarsi a mettere a fuoco quali indicatori valutare è il problema più grande per un’adeguata azione di accompagnamento.
Barbagallo: Il primo requisito per accompagnare gli studenti alla scelta è essere aggiornati sull’attualità del mondo universitario: caratterizzazione dei vari corsi di studio, raccordi con il mondo del lavoro, certificazioni linguistiche, possibilità di studio e lavoro all’estero, costi. A tutto ciò va aggiunta una profonda conoscenza della personalità, delle risorse e dell’attitudine allo studio degli alunni, perché ciò che può essere adeguato per uno può essere deleterio o inefficace per altri, a parità di interesse.
Zago: Accompagnare è diverso da orientare. Per accompagnare occorre innanzitutto entrare in relazione con i propri alunni, “in-segnare”, e far appassionare i ragazzi al loro futuro. Ciò non è né facile né scontato: occorre “giocarsi” come persone che hanno l’opportunità di educare ed educarsi attraverso il proprio lavoro, tenendo alti i valori della persona nella società. Occorre essere umili e non avere la pretesa di ottenere delle risposte immediate. Il modo stesso di “fare il proprio lavoro” di docente è “orientante” perché può costituire un esempio di figura professionale di riferimento.
D. Che peso hanno sull’attività di orientamento i cambiamenti di questi anni, dalla riforma universitaria alla crisi economica?
Riboldi: Per famiglie, studenti e università il nuovo scenario socio-economico ha generato profondi mutamenti nell’atto orientativo. L’insegnante ha, invece, mantenuto una posizione intermedia, già di per sé complicata, e, in più, ha subito i contraccolpi di tutti questi cambiamenti. L’azione orientativa del docente oggi richiede fiducia e condivisione da parte delle famiglie e dello studente.
Barbagallo: La riforma universitaria ha portato grandi trasformazioni: dall’apertura verso l’estero ai ritmi di studio, fino al nuovo peso attribuito dal mondo del lavoro al voto di laurea e al laurearsi in corso. Nel mio istituto la crisi economica non ha modificato di molto le scelte di studenti e famiglie: i ragazzi continuano a iscriversi alle stesse facoltà, in università anche non statali, forse perché le famiglie preferiscono investire più nell’istruzione che in altro.
Zago: Cambiamenti ce ne sono e parecchi. La riforma universitaria vede già nei primi tre anni un’eccessiva frammentazione degli indirizzi per i quali non sempre sono individuabili i nuclei fondanti del percorso di studi. L’anticipazione delle iscrizioni “giustificata” da esigenze organizzativo-amministrative impone di affrontare la questione “scelta-decisione” in tempi a volte troppo anteriori rispetto alla maturazione dei ragazzi, tanto che per i più piccoli è la famiglia che sceglie. Per l’accesso all’università, due mi sembrano essere i fattori ansiogeni: i test selettivi (il fatto che si svolgano durante l’ultimo anno scolastico, a ridosso della preparazione dell’Esame di Stato è devastante) e il giustificabile timore di non riuscire a inserirsi nel mondo lavorativo, lasciandosi prendere dai “si dice” più o meno mascherati da indagini o dalle mode. Quanto alla crisi, aumenta la sua influenza sulla scelta degli studi in vista degli sbocchi occupazionali successivi all’università. Matura, comunque, da parte degli studenti, una maggior consapevolezza sull’importanza di ampliare gli interessi personali e di non limitare all’esperienza scolastica le occasioni di apprendere, diventando più flessibili e creativi.
D. Quali sono le esigenze più significative tra i giovani durante il percorso di scelta?
Ferrari: L'esigenza più significativa è quella di un adulto che li sostenga anche in un’ipotesi che corrisponde di più a se stessi, anche se è esclusa dalle classifiche del "miglior percorso". Mi sembra che un ragazzo chieda sempre di più a un adulto che gli comunichi le ragioni per cui impegnarsi in una scelta, anche quando questa comporta dei rischi.
Riboldi: Ormai gli studenti sono informati sull’offerta formativa delle singole università, sanno come muoversi nella ricerca dei dati sensibili ai fini della loro scelta. Il problema è che non sanno scegliere o, meglio, non hanno gli strumenti per capire davvero che cosa stanno scegliendo, anche in termini di conseguenze e ricadute sulla loro vita futura e non solo nell’immediato per il loro primo anno da matricole.
Barbagallo: Gli studenti vogliono essere informati, anche nei dettagli, vogliono confrontarsi con chi ha già scelto il loro stesso indirizzo d’interesse, vogliono entrare in università, assistere a delle lezioni, conoscere i docenti, sentirsi dire cosa è necessario “possedere” per poter aspirare a un buon curriculum universitario.
Zago: Nel momento della scelta ci sono studenti che si sentono già determinati: per costoro l’azione della scuola è offrire occasioni di riflessione che allarghino orizzonti, consolidino motivazioni e pongano domande di significato sulla decisione da prendere. Ci sono, invece, altri studenti che vorrebbero “non scegliere”, che preferirebbero avere già dei percorsi delineati, delle certezze occupazionali. Sempre più ci troviamo di fronte a ragazzi con una personalità apparentemente determinata, ma in realtà fragile e dubbiosa e in generale poco fiduciosa rispetto alla società adulta. Hanno bisogno di avere qualcuno – adulto, famiglia, comunità scolastica – che li ascolti, recepisca le loro richieste e i loro messaggi “sussurrati”, li aiuti a fare ordine tra le sovrabbondanti informazioni a disposizione per individuare le priorità legate alle proprie aspirazioni.
D. Quali sono le esigenze degli insegnanti che sono chiamati ad accompagnare questo percorso?
Riboldi: Anche noi docenti ci sentiamo in parte impreparati, perché a fronte del cambiamento, spesso abbiamo a disposizione strumenti obsoleti. È importante che i docenti, insieme alle famiglie, educhino i ragazzi alla fatica, all’attesa e alla capacità di investire su se stessi. Per far questo necessitano di un aiuto da parte delle università perché rinuncino almeno in parte a fornire pacchetti di informazioni e si dedichino a un aiuto volto alla comprensione della strada che uno studente si accinge a intraprendere, prospettando il percorso nella sua interezza e nelle sue difficoltà oltre che nelle sue ricchezze. Questo perché spesso i ragazzi, nutrendosi solo di meri dati e non essendo davvero consapevoli della loro scelta, finiscono per abbandonare presto il mondo dell’università: questa è una sconfitta con cui la scuola e la stessa università si devono confrontare.
Barbagallo: Gli insegnanti desiderano un raccordo, soprattutto a livello didattico, ma anche a livello informativo, con le varie realtà universitarie. Desiderano sapere cosa e come insegnare per favorire un ingresso e una permanenza ottimale dei propri studenti in università.
D. Che contributo ha offerto il percorso sul coaching promosso dall'Università Cattolica?
Ferrari: Molta della fatica nell'orientamento è causata non dalla mancanza di informazioni “generali" ma di informazioni sui criteri di scelta. Per questo mi sono molto ritrovata in quanto è stato proposto dal corso.
Barbagallo: Desidererei che venisse replicato ogni anno per permette agli insegnanti di essere costantemente aggiornati, sia verticalmente nei confronti delle esigenze della realtà universitaria, sia orizzontalmente attraverso il confronto con altri colleghi che vivono gli stessi problemi.
Riboldi: Una maggior interazione fra scuola e università non può fare che bene e il percorso promosso dall’Università Cattolica è un buon punto di partenza: la competenza orientativa e auto-orientativa è un’attitudine trasversale ed è importante che il sistema universitario investa sulla promozione della cultura dell’orientamento. Forse non è immediatamente remunerativa in termini di aumento delle iscrizioni, ma credo che nel tempo possa diventare un punto di forza nel contenimento della dispersione degli studenti.
Zago: Il percorso ha fornito informazioni sul momento attuale della ricerca universitaria sull’orientamento e ha posto le basi per un confronto diretto “tra le parti”; ha offerto spunti di riflessione sul modo di relazionarsi con lo studente; ha permesso il confronto con esperienze di altre scuole e realtà formative; ha sottolineato l’importanza della formazione in itinere a persone che già si occupano di orientamento, che si pongono delle domande e cercano delle risposte “concrete”. Il mio giudizio è molto positivo.