Dopo l’esordio editoriale di Bianca come il latte rossa come il sangue, Alessandro D’Avenia approda al cinema con il suo best seller del 2010, che a oggi conta quasi un milione di copie vendute anche all’estero. È in uscita il 4 aprile il film omonimo, presentato in anteprima – attraverso alcune scene e backstage – in Università Cattolica, in quegli stessi chiostri che l'hanno ospitato come studente del master in “Scrittura e produzione per la fiction e il cinema” diretto dal professor Armando Fumagalli.
Classe 1977 il prof 2.0, come si definisce nel suo blog, è anche co-sceneggiatore del film prodotto dalla Lux Vide in collaborazione con Rai Cinema, rappresentata nell’incontro del 20 marzo da Niccolò Dal Corso, compagno di master di D’Avenia e adesso producer della società nota per la produzione di fiction di successo come Don Matteo e la più recente Che Dio ci aiuti. Nel film Luca Argentero interpreta il supplente accanto ai giovani protagonisti del racconto: «Non vi dico le scene al Liceo quando Luca ha voluto accompagnarmi in classe per riprendere confidenza con il mondo adolescenziale. In realtà le ragazze si sono comportate molto bene, frenate da una naturale timidezza ma non posso dire altrettanto delle colleghe».
Scherza D’Avenia, prendendo confidenza con l’aula gremita di studenti, non tutti universitari, confermando che lo scrittore è anzitutto un professore (oggi insegna al liceo San Carlo di Milano), ma il tono cambia quando racconta l’episodio che lo ha spinto a scrivere il libro, che nasce dalla voglia di fare a pugni con la morte: «Mi avevano assegnato un’ora di supplenza e in questi casi un professore giovane pensa solo a salvarsi la vita. La creatura più fragile in classe sei tu, insegnante e per di più supplente. Ho chiesto ai ragazzi: sapete perché faccio l'insegnante? Ho risposto: perché mi diverto, perché era proprio quello che volevo fare». Attirata l’attenzione della classe, il passo successivo di un buon insegnante è quello di avviare il dialogo: «Raccontatemi gli episodi della vostra vita che determineranno il vostro futuro, dissi ai ragazzi e uno di loro, che fino a quel momento si era comportato da tipico galletto, mostrando disinteresse e facendo battute, prese la parola, spiazzandomi: “L’anno scorso abbiamo perso una nostra compagna che in meno di un anno se n'è andata per un tumore; non siamo stati noi ad accompagnare lei, ma lei ad accompagnare noi”». Una frase semplice ma potentissima che ferma per sempre un’immagine e segna il destino creativo del professore: «Per lavorare con i ragazzi devi saper intravedere la rosa che fiorirà dal seme piantato nel terreno; in quel ragazzo, all'inizio ironico e menefreghista, ho intravisto all’improvviso, nel suo cambio di espressione, l'uomo che sarebbe diventato, la sua serietà, e così è nato il mio protagonista, in greco colui che combatte per primo».
Una lotta in cui l'antagonista è il dolore: «Io volevo far vincere il mio protagonista, perché nella vita non è così. Io volevo salvare la mia Beatrice, almeno nella letteratura; ma non è stato possibile, perché non era vero. Ma potevo salvare lui». Nella conclusione del romanzo è racchiusa infatti la chiave di una storia drammatica apparentemente senza uscita ma che in realtà vuole trasmettere la voglia di vivere: «La morte di un innocente senza spiegazioni è un dramma enorme. Ma dopo aver visto il film uscirete con la voglia di vivere. Perché? Non ve lo dico, è quello che ho capito scrivendo il libro».
È stato lui a dare il primo ciak alla troupe: dapprima timidamente, ma poi, con un deciso: Azione!, ha messo in moto la macchina da lui costruita: «Quello che avevo scritto è diventato reale ed è stato bellissimo vedere 50 persone lì, felici, al lavoro per un sogno piccolo, nato per aver visto il volto di un ragazzo in un'ora di supplenza».
Non a caso la prima bozza del libro è stata letta in classe dai suoi studenti della IV ginnasio che adesso, vicini alla maturità, lo accompagneranno a Roma alla prima integrale del film.