«Smart People, Smart Living, Smart Governance, Smart Environment, Smart Economy, Smart Mobility. Parlando di Smart City, le dimensioni con cui relazionarsi sono molteplici. Tra queste non può mancare, e diventa prioritaria, l’educazione di futuri Smart Citizen». Per Pierluigi Malavasi, direttore dell'Alta Scuola per l’Ambiente (Asa) dell’Università Cattolica è la sfida del nostro tempo, in cui diventa urgente il tema dell’ambiente urbano e della responsabilità verso i territori. «La Smart City - spiega Malavasi - rappresenta oggi l’avanguardia dello sviluppo urbano sostenibile e al contempo un crocevia teorico in cui si intersecano le caratteristiche e le esigenze della città con l’attenzione alla qualità della vita e al soddisfacimento dei bisogni delle persone, la competitività e la crescita economica, l’utilizzo delle risorse e la sostenibilità. Uno sviluppo che non riguarda solamente le infrastrutture, ma che considera fondamentale il ruolo dell’ambiente e, soprattutto, del capitale umano, sociale e relazionale».
Come si può progettare un simile scenario? L’orientamento ad applicare in modo rigoroso procedure corrette per “implementare” scelte eque, sostenibili e smart, prospetta il valore di un’educazione a ben deliberare. Il processo educativo cui far riferimento sviluppa nell’individuo quella spinta a interrogarsi sul senso e sul significato delle proprie azioni, sugli impatti che esse producono e sulle modalità attraverso le quali queste azioni possono essere modificate, garantendo al tempo stesso sia il soddisfacimento dei propri bisogni che la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse sulle quali agiscono.
Qual è il ruolo delle classi dirigenti in questa prospettiva? La crisi ha evidenziato il ruolo centrale dei manager nella gestione della “cosa pubblica” e della “cosa privata”, e ha indirettamente gettato luce sull’importanza della loro formazione etica, nel segno della Company Stakeholder Responsibility. La cultura della sostenibilità, tra controversie e ambiguità di diverso genere, rappresenta oggi una sorta di capitale sociale che indica il grado di coesione civica, la natura dei rapporti di collaborazione interistituzionale, l’ampiezza e la profondità dei legami di solidarietà. È necessario interrogarsi sulla rilevanza etica delle relazioni produttive e di consumo, esplorando se e a quali condizioni è possibile stringere un patto virtuoso tra cultura educativo-ambientale e dinamiche di marketing, tra progettualità pedagogica e sviluppo del territorio.
Che tipo di formazione avete pensato per manager e policy-maker?Tra le molteplici offerte di alta formazione che anche quest’anno Alta Scuola per l’Ambiente ha attivato, è senza dubbio importante far riferimento alla Summer School “Expo 2015, Smart cities, Sostenibilità del territorio. Tra branding e formazione” che si svolgerà, in collaborazione con ExpoLab e col Comune di Rovereto, all’interno del Festival dell'Economia 2014 e che si orienterà proprio sulla formazione di amministratori che siano capaci di confrontarsi con le policy ambientali, il brand dei territori e il turismo sostenibile. In questo quadro, la Summer School racconterà come a livello locale già esistano e vengano comunicate best practices esemplari, realtà private e pubbliche attente alla protezione dell'ambiente, alla salubrità dei prodotti, alla tutela del cittadino e del consumatore, nell’ottica della sostenibilità del sistema economico e sociale locale, e della valorizzazione del territorio e dei suoi abitanti.
Abbiamo citato la parola probabilmente più inflazionata oggi sui media: Expo. Qual è il cuore della manifestazione? Il rapporto tra alimentazione, salute e ambiente ha assunto negli ultimi anni crescente rilevanza pubblica e occupazionale rispetto alla quale Alta Scuola per l’Ambiente, insieme a un’altra Alta Scuola della Cattolica: Smea, contribuisce con il master in Food Management and Green Marketing. La formazione di specifiche competenze professionali guarda alla “finalità più importante di un’esposizione universale, che è principalmente educativa”, secondo quanto dispone il primo articolo della costituzione istitutiva del Bie. Al di là delle mode collettive e delle preferenze individuali, stili di vita equilibrati escludono contrapposizioni semplicistiche (alimenti buoni o cattivi) perché tutti i cibi richiedono porzioni e frequenze di consumo differenti in rapporto all’età, alle condizioni di salute e al dispendio energetico di ciascuno. L’educazione alimentare sulla tavola imbandita del mondo congiunge generazioni e popoli, è esperienza che chiama in causa la responsabilità di tutti.
Una bella sfida… Expo 2015 rappresenterà una vetrina straordinaria delle diverse tradizioni alimentari se non si ridurrà a una fiera commerciale o a un lunapark. Dovrà portare a riflettere e ad agire sull’emergenza dei problemi della fame e della povertà assoluta, sul nesso tra cultura e identità, bisogno primario e piacere. Sul cibo, energia per la vita e scambio relazionale, convivialità e valore del lavoro quotidiano che genera ricchezza e cultura.