di Massimo Scaglioni *
I giovani, la storia, il cinema. Si gioca attorno a questi tre termini la scommessa che ha unito Fondazione Ente dello Spettacolo e Università Cattolica, e che si è materializzata nei suoi esiti, martedì 29 gennaio, presso gli spazi dell’ex mattatoio “La Pelanda” di Roma. Dove è stata inaugurata la Mostra multimediale “Belle Speranze: il cinema italiano e i giovani (1948-2018)”, aperta a tutti coloro che vorranno visitarla fino al 15 marzo. Una scommessa tutta particolare, che vale la pena di essere raccontata nella sua genesi.
È possibile tracciare una storia dell’Italia attraverso l’immagine delle diverse generazioni di giovani che l’hanno attraversata e ne sono stati protagonisti? Visitando la mostra si esce con la sensazione che la domanda sia veramente pertinente: perché, dagli anni del secondo dopoguerra e della ricostruzione fino a quelli della “rivoluzione digitale” e della comunicazione pervasiva e “social”, i giovani hanno sempre incarnato un potente desiderio di trascendere la realtà, di cambiarla, di trovarvi un proprio spazio. Guidati - entro contesti sempre differenti, di fronte a problematiche sempre inedite - da spinte universali e condivise: la forza dei rapporti familiari, il bisogno d’amicizia e d’amore, la voglia di affrontare le ingiustizie sociali, il confronto col mondo del lavoro e degli adulti. E, soprattutto, una insopprimibile tensione alla felicità.
La mostra alla “Pelanda” (curata da Gianluca Arnone, Maria Grazia Cazzaniga ed Emanuela Genovese) si articola così in tre macro-sezioni. La prima: “Generazioni in fermo immagine”, che alterna le immagini e le storie dei personaggi narrati dal cinema italiano (da I vitelloni di Federico Fellini a Tutta la vita davanti di Paolo Virzì) con gli oggetti “di culto” che condensano in sé le identità di intere generazioni (dal juke box all’ipod e alla playstation). La seconda: “Siamo quel che ci manca”, dedicata alla ricerca di senso e di Dio da parte dei giovani, dal Francesco giullare di Dio di Roberto Rossellini a Corpo Celeste di Alice Rohrwacher.
La terza parte della Mostra, “Come eravamo. Oggi” è quella più “sperimentale”, ed è quella in cui il contributo dell’Università Cattolica è stato decisivo. Nel corso del 2018, un gruppo di studenti di diverse facoltà e differenti età (da primo anno di triennale al dottorato), hanno intrapreso un percorso attraverso le immagini che delle generazioni precedenti il cinema ci ha trasmesso. Storie talvolta “lontane” e di “complessa decifrazione” (i bambini già adulti dei film degli anni della guerra o del dopoguerra, come Roma città aperta o Ladri di biciclette, o i ragazzi ideologizzati e violenti degli anni di piombo di Mio fratello è figlio unico). Ma anche vicende che sono apparse subito vicine, significative, quasi contemporanee (come nel caso del Peppino Impastato raccontato da I cento passi).
Da questo percorso sono nati sei video-saggi interamente realizzati dagli studenti. Ma più del risultato finale (per altro pregevole), conta l’esperienza: «Un modo innovativo per fare didattica», come ha sottolineato Mario Gatti, direttore della sede di Milano della Cattolica. Pif, regista di La mafia uccide solo d’estate e creatore del Testimone, programma seguitissimo dai più giovani fin dai tempi di MTV, ha chiuso il cerchio che connette giovani, storia nazionale e cinema: «Ero giovane quando a Palermo la mafia ha ucciso i giudici Falcone e Borsellino. Sono certo che la voglia di reagire e di raccontare la mafia in quel modo sia nata proprio lì».
* docente di Storia dei media alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica, Milano