di Nicolangelo D’Acunto *
Ha davvero senso o costituisce una mera provocazione cercare la libertà nel medioevo? La nostra cultura diffusa è abituata a considerare proprio il medioevo come l’epoca della negazione di ogni forma di libertà. In realtà nel mondo degli studi esiste un filone di ricerca consolidato che mira a chiarire che proprio la libertà può funzionare come una sorta di liquido di contrasto per individuare alcuni snodi essenziali della storia medievale con particolare riferimento alle dinamiche politico-sociali, poste in stretta relazione con le tematiche religiose.
L’idea medievale di libertà era, infatti, profondamente diversa da quella che si è affermata a partire dalla Rivoluzione francese e che sostanzia la nostra cultura. Essa nei secoli di mezzo, più che sull’autonomia dell’individuo, si fondava sulla capacità del singolo di costruire rapporti sociali, a volte anche di dipendenza.
Per esempio nel mondo feudale avere uno o più signori era letto come un segno di prestigio e non di sudditanza, come potremmo pensare noi moderni, in quanto la qualità e la quantità dei rapporti sociali esprimeva la misura della propria effettiva possibilità di relazionarsi efficacemente con il contesto sociale. Si capisce così anche perché nel medioevo libertà fosse sinonimo di privilegio. In una società priva di Stato i detentori della sovranità potevano costruire la propria rete di potere solo creando delle situazioni di eccezione, garantendo dei privilegi ai propri fedeli.
Altrettanto utile è indagare sul tema della libertas Ecclesiae (la libertà della Chiesa) o di come i Comuni medievali concepissero la propria libertà all’interno del quadro così delineato. Infatti nel secolo XI si assiste alla fioritura di molte nuove declinazioni del linguaggio della libertà, ma soprattutto a una serie di istanze politiche e spirituali che ponevano su basi inedite il rapporto dei singoli e delle collettività con le istituzioni.
* direttore del Cesime