«Non un convegno ma un confronto di operatori del diritto e, in particolare, di professori di diritto internazionale, penale, amministrativo, costituzionale che da diverse prospettive si occupano della questione dei soccorsi in mare». Francesca De Vittor, ricercatrice di Diritto internazionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, spiega con queste parole le ragioni alla base del dibattito scientifico dal titolo “La politica dei porti-chiusi. Questioni di legittimità e responsabilità nazionale e internazionale”, promosso lunedì 15 luglio dalla facoltà di Giurisprudenza e dall’Istituto di Studi Internazionali dell’Ateneo.
Il tema è di scottante attualità: siamo di fronte a una violazione del diritto internazionale quando il porto viene chiuso rispetto all’accesso di una nave che ha prestato soccorso in mare, come la obbligano a fare le convenzioni sul diritto del mare sbarcando i migranti in un porto sicuro? «C’è bisogno d’informazione su quest’argomento – continua la professoressa De Vittor –. Ci siamo resi conto che ci sono questioni che restano aperte e necessitano di essere valutate e analizzate scientificamente. Di qui la necessità di sedersi attorno a un tavolo e discuterne per capire se l’analisi che fa un penalista è diversa da quella che può fare uno studioso di diritto amministrativo o di diritto internazionale. Tutto ciò con l’obiettivo di individuare quali sono i modi migliori per garantire il rispetto del diritto».
Al centro del dibattito varie tematiche. Per esempio, l’obbligo del soccorso in mare sia per gli Stati, sia per i capitani delle navi. A chi si impone l’obbligatorietà del soccorso? In che misura gli Stati hanno un obbligo di fornire un porto sul loro territorio o di cooperare nell’individuazione dello stesso? La normativa del diritto del mare prevede che gli Stati cooperino. Qual è, invece, la discrezionalità del capitano della nave se questi non cooperano? Altro tema toccato quello delle conseguenze del divieto di accesso e della possibilità di adottare norme sul divieto di accesso: in che misura è necessario istituire una “zona contigua” per operare il blocco al di fuori delle acque internazionali? L’istituzione di una zona contigua prevale sull’obbligo di rispetto dei diritti dell’uomo? Sullo sfondo del dibattito altre due questioni: la responsabilità per ordini illegittimi e per il concorso in atti illegittimi, alla luce della decisione del tribunale di Trapani che ha assolto le persone che nel luglio 2018 si erano opposte di fronte alla possibilità di essere riportati in Libia; la presunzione di innocenza alla luce delle dichiarazioni fatte da organi del governo circa la colpevolezza per reati vari di persone che magari non sono neanche sotto processo.
Cesare Pitea, docente di Diritto internazionale all’Università degli Studi di Milano, pone in evidenza la situazione anomala che incide sulle responsabilità e sugli obblighi in materia di soccorsi. Il riferimento è alla «Libia cui non si può riconoscere un ruolo nel coordinamento dei soccorsi perché non li svolge in modo efficace e soprattutto non può offrire un porto sicuro». A tal proposito, aggiunge, «manca un organo centralizzato di Diritto internazionale in grado di fornire una decisione univoca. Non bisogna dimenticare che quando si valuta il contenuto degli obblighi internazionali, le posizioni degli Stati non sono quelle dei governi, ma soprattutto quelle dei giudici, che determinano l’aderenza della prassi alla norma internazionale, quindi, di fatto la validità».
Secondo Pasquale De Sena, ordinario di Diritto internazionale all’Università Cattolica, mancano le condizioni politiche per un disconoscimento della zona Sar libica. Inoltre il decreto sicurezza-bis non fa alcun accenno all’istituzione di una “zona contigua”, laddove la Bossi-Fini (286/1998) vi faceva riferimento. Una mancata proclamazione non casuale: se vi fosse stata più o meno automaticamente lo Stato avrebbe riconosciuto la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle imbarcazioni che si trovano nell’area di riferimento.
Critico nei confronti del decreto sicurezza-bis anche Paolo Bonetti, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi Milano-Bicocca: «In questo decreto ministeriale le norme sull’immigrazione citate dicono esattamente il contrario di quello che sostiene il Testo Unico sull’immigrazione: soccorrere, accogliere, identificare tutti gli stranieri in mare. Come se non bastasse ci sono due articoli “dimenticati”: l’articolo 4, relativo al finanziamento di operazioni con agenti sotto copertura per contrastare il traffico dei migranti; l’articolo 12, sul finanziamento del reingresso di stranieri, anche irregolari.
Secondo Mario Savino, docente di Diritto amministrativo all’Università degli Studi della Tuscia e direttore dell’Accademia Diritto e Migrazioni, si potrebbe vietare l’ingresso solo dimostrando la probabile violazione di una norma primaria. Dal suo punto di vista, le navi delle Ong non violano norme interne quando effettuano soccorso in mare in base alla prevalenza del diritto internazionale su quello interno.
Infatti, specifica Francesca Cancellaro, dello Studio legale Gamberini e avvocato difensore di Open Arms, «non si tratta di sbarchi fantasmi ma spesso sono attività richieste dagli Stati alle Ong: questo potrebbe essere un criterio per distinguere ONG e trafficanti, anche in base all’articolo 10-ter del Testo Unico sull’immigrazione, richiamato dal GIP Agrigento». Perché, fa eco l’avvocato di Sea Watch e Mediterranea Lucia Gennari, «sono operazioni di soccorso in mare e non come viene spesso detto di attività di trasporto irregolare di migranti, in violazione delle leggi sull’immigrazione italiana, e questo deve essere assolutamente ristabilito dal punto di vista della comunicazione per capire dove sta l’illegittimità dei governi europei».
Al dibattito, hanno partecipato tra gli altri, Luca Masera, docente di Diritto penale all’Università di Brescia, Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale dell’Università Cattolica, Chantal Meloni, dell’Università Statale degli Studi di Milano.