Dalla moda al cibo fino alle arti del teatro, della danza e del cinema. Su questo grande universo creativo si fonda l’imprenditoria afroitaliana oggi non ancora abbastanza nota al grande pubblico. Imprese individuali, associazioni culturali, aziende vere e proprie sono gli attori di uno scambio attivo e proficuo di conoscenze, sensibilità, connessioni tra Italia e Africa.
Si sono presentate in Università Cattolica a Milano il 6 maggio nell’ambito di "AfroCult.it. Moda e culture africane in Italia”. La logica della “contaminazione” culturale è al centro di queste esperienze professionali. È il caso di RE eyewear, marchio che produce occhiali, nato dall’idea di due amici ottici-optometristi in Italia che producono oggetti d’arte utili e unici nel loro genere, affidandosi alla maestria di grandi artigiani italiani e inserendo in ogni montatura interamente fatta a mano inserito un tessuto proviene direttamente dall’Africa.
Poi c’è Paul Roger Zenam, di Zenam Couture, che lavora incrociando know how italiano e africano, sia sul piano del design che su quello della produzione di abbigliamento, promuovendo anche progetti di sviluppo locale in alcuni centri del Camerun. Ruth Mc Carthy, tra le promotrici della AfroFashion week di Milano, ha raccontato l’impegno della sua organizzazione per diffondere il format della Afrofashion week, già affermato in molti altri Paesi per promuovere sfilate ed eventi di presentazione di collezioni dal forte impatto estetico e progettuale e di interesse per gli investitori internazionali. Julia Falco, giovane imprenditrice di Bantù Fashion Group ha illustrato i programmi a servizio delle imprese afroitaliane, ma non solo, interessate a incorporare contenuti africani nelle collezioni.
Che i contenuti africani non sono solo una questione di ultime tendenze passeggere di una stagione o di un’altra è confermato anche dal lavoro e dal riconoscimento che il blog Nappytalia sta avendo negli ultimi due anni. Evelyne Afaawua, giovane italoghanese, lo ha promosso con un obiettivo ambizioso: utilizzare un argomento apparentemente frivolo, come la scelta di stirare i capelli o lasciarli naturali con il tipico aspetto riccio che siamo abituati a definire appunto afro, per rivendicare la doppia identità, insieme italiana e africana, di una nicchia evidentemente sempre più significativa di popolazione in Italia, a giudicare dal successo del blog e dal fatto che tale attività si è tramutata da un hobby in un lavoro vero e proprio.
Sulla stessa lunghezza d’onda si muovono Grazia Sokubu e Bellamy Okot con la piattaforma digitale afroitaliansouls, guidate dal desiderio di raccontare la storia italiana che vede protagonisti uomini, donne e ragazzi di origine africana, accostando le riflessioni socio-politiche, nel contesto italiano, alla leggerezza delle tendenze, fino alla scoperta di nuovi talenti artistici.
Anche le arti più tradizionali raccontano delle contaminazioni tra Italia e Paesi africani e molte sono state le testimonianze al convegno. Tra gli altri, Alfie Nze, regista e performer nigeriano, Mor Talla Seck, artista senegalese oggi titolare di una galleria d’arte ammessa a un programma di incentivazione delle start up, Abdoullay Ablo Traore, del Burkina Fasu e fondatore dell’Associazione culturale Sinitah che promuove teatro, danza e musica di origine africana, Loretta Grace, attrice e cantante afroitaliana, di crescente popolarità soprattutto nel mondo del musical.
E ancora il mondo delle industrie culturali coinvolge le due anime italiana e africana: il webmagazine Griotmag.com che condivide e diffonde storie di creatività e cultura pop ed è un hub creativo che sviluppa eventi e progetti di comunicazione; l’etichetta indipendente Mancamelanina Records, che produce e promuove la musica hiphop creata dai giovani “di seconda generazione” talentuosi ma senza mezzi per realizzare i propri progetti musicali.
Hanno partecipato anche le associazioni culturali come Sunugal, che favorisce l’integrazione degli immigrati e iniziative di scambio, in particolare tra l’Italia e il Senegal, di carattere culturale, educativo, artistico, aggregativo e di cooperazione internazionale.
Al convegno c’erano anche realtà che non sono imprese culturali afroitaliane, ma che svolgono un importante lavoro di networking e di promozione interculturale. Lai-momo è una società cooperativa costituita nel 1995 che opera negli ambiti del sociale e dell’immigrazione e promuove autori africani nei settori artistici e creativi come il fumetto, l’arte visiva, la fotografia, la moda. Nel 2009 inizia una collaborazione con l’International Trade Centre, agenzia speciale delle Nazioni Unite, per la creazione di un polo formativo in Italia dedicato ai richiedenti asilo.
La fondazione non profit Lettera27 Onlus sostiene il diritto all'alfabetizzazione, all'istruzione e, più in generale, alla conoscenza e all’informazione. Lettera27 è la ventisettesima lettera, quella che manca, lo spazio da riempire, il collegamento tra scrittura e oralità, la connessione con il futuro. La fondazione promuove progetti come At-work, un format basato su di un workshop condotto da un artista o un curatore di fama internazionale, che stimola un gruppo di studenti e provoca discussioni collettive e auto-riflessioni critiche su temi quali l’identità, la collettività, la cultura, lo spazio condiviso.