C’è chi sostiene, ancora oggi, che le donne non abbiamo talento per la matematica. Nonostante il più prestigioso premio internazionale del settore – la Medaglia Fields, paragonata al Nobel per la matematica – sia stato assegnato all’iraniana Maryam Mirzakhani, le prove Invalsi e i dati Pisa (Programme for International Student Assessment) dicono che le femmine ottengono punteggi più bassi dei maschi nei test di matematica nelle scuole dell’obbligo. Risultati che peggiorano progressivamente dalla scuola elementare fino a quella superiore.
Per rendere più attraente la matematica anche per le ragazze, il dipartimento di Matematica e fisica della sede di Brescia dell’Ateneo organizza per la prima volta, in via del tutto sperimentale e in collaborazione con altre università d’Italia, una gara di matematica femminile a squadre che si terrà in via Musei venerdì 20 gennaio. Ben 15 squadre, composte da 7 studentesse delle scuole superiori ciascuna dovranno rispondere in due ore a una ventina di quesiti con punteggi che si aggiornano dinamicamente durante la gara. Contemporaneamente, a livello nazionale, altre 231 squadre disseminate in varie città d’Italia, svolgeranno gli stessi problemi. Le migliori classificate di ogni sede parteciperanno alla finale delle Olimpiadi di Matematica che si terranno a maggio a Cesenatico.
«La gara di matematica femminile a squadre va collocata nel tentativo di sollecitare l’interesse verso questa disciplina – afferma Maurizio Paolini, direttore del Dipartimento di matematica e fisica della Cattolica – anche perché pare che gli scarsi risultati che le ragazze ottengono nei test Pisa siano correlati con alcune misure soggettive: credere di non saper risolvere i problemi di matematica (self-efficacy), l’autostima nelle proprie capacità matematiche (self-concept) e anche e l’ansia e lo stress con cui si affronta la materia». I numeri della facoltà di Scienze matematiche a Brescia indicano il contrario perché il differenziale fra maschi e femmine è praticamente azzerato. «Inoltre, dai risultati e dalle ricerche conseguiti dalle nostre universitarie, non pare che manchino le doti innate: forse le ragazze non vengono sufficientemente indirizzate verso gli studi scientifici, ritenendo quelli umanistici più consoni alle loro capacità».
È dunque solo una questione di metodo di studio o di attitudini di genitori e di docenti? «È un problema complesso da non affrontare con stereotipi o semplificazioni» afferma il preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali Alfredo Marzocchi. «I dati mostrano una maggiore propensione dei maschi per come è presentata la matematica a scuola, cioè non necessariamente la matematica “in sé”. Escluderei una causa legata a genitori o docenti e anche al metodo di studio, perché può essere molto diversificato da studente a studente. Tutt’altra cosa sono i casi eccezionali, nei quali le ragazze possono essere molto superiori ai maschi».
Cosa succede, di conseguenza, in ambito lavorativo? A livello nazionale e nella maggior parte dei paesi del mondo, le differenze di genere nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering, and Mathematics) sono molto elevate, e in Italia il gap è sembra più marcato. «Il dato diventa preoccupante perché ha conseguenze nel mercato del lavoro. Le donne si concentrano in quei settori lavorativi che richiedono minori competenze matematiche e che sono anche quelli meno pagati. Quindi, la riduzione del gap in matematica è essenziale per ridurre il differenziale salariale e, più in generale, le discriminazioni e la segregazione nel mercato del lavoro. Per quanto riguarda il mondo universitario, a fronte di ottime laureate in matematica, la comunità accademica “over 40” è ancora molto al maschile. Ma questa è tutta un’altra storia: non si tratta di aspetti cognitivi ma sociali.