Era il maggio del 2008 ed era appena uscito da Vallardi un volume di memorie di Alfredo Martini raccolte da Franco Calamai, storica firma della "Gazzetta" e amico di una vita dell'Alfredo. Organizzammo in Cattolica una presentazione del libro con la presenza di giornalisti, di personaggi della storia del ciclismo come Franco Cribiori e Fiorenzo Magni e ovviamente di Martini. Non parlò molto il "grande saggio del ciclismo", come lo definiva il titolo del libro dei suoi ricordi, e lo fece con calma, pesando le parole. Tutto il contrario di Magni che confermò anche in un dibattito l'irruenza e la combattività che lo caratterizzavano quando gareggiava. Ma tra le cose che ci disse Martini ce n'è una che oggi mi pare si debba assolutamente ricordare. Dopo aver fatto, senza inutili nostalgie, gli inevitabili confronti tra il ciclismo del presente e quello di un passato in cui le squadre, composte di otto atleti, dormivano, al termine delle tappe dei grandi giri nei conventi e non negli alberghi, il discorso scivolò inevitabilmente sul doping, il grande male che rischiava di distruggere il più bello degli sport. E lì il grande saggio rivelò un totale, imprevedibile e impegnativo ottimismo: «il ciclismo sarà il primo sport a liberarsi dalla piaga del doping perché è stato il primo ad affrontare con decisione il problema». È consolante, in questi giorni di lutto, quello che Davide Cassani, fresco successore di Martini nel ruolo di commissario tecnico della nazionale, ha raccontato a Sky. Un mese fa Alfredo Martini, ha visto, in compagnia di Cassani, l'ultima tappa del Tour, quella che ha incoronato vincitore della corsa più importante del mondo Vincenzo Nibali, un italiano da sempre alfiere e protagonista di un ciclismo pulito.