"Ah! Conoscete la nostra epoca! Oggi, signora, tutti i sentimenti svaniscono e il denaro li sospinge. Non esistono più interessi perché non esiste più la famiglia, ma solo individui! Vedete! L'avvenire di ciascuno è in una cassa pubblica […] Vendete gesso per zucchero: se riuscite a far fortuna senza suscitare lamentele, diventate deputato, pari di Francia o ministro!” – Se non si conoscesse l’opera da cui è tratta questa citazione, si potrebbe pensare che si tratti di un critica sociale contemporanea che, in toni tanto altisonanti quanto retorici, attacca una società in cui la scaltrezza negli affari sembra essere l’unica carta vincente. In realtà si tratta sì di una satira, non così velata, diretta a una certa borghesia ormai affermata come classe sociale di potere e prestigio che ha però perso lo scopo di cercare una nuova etica, anche se il riferimento originario non rimanda direttamente ai nostri giorni, bensì al contesto socio-culturale tipico dell’Ottocento francese, periodo in cui Honoré de Balzac (1799-1850) scrisse Mercadet, l’affarista (Le faiseur), opera iniziata nel 1838, ambientata nel 1839 e rappresentata a partire dall’anno successivo, da quando l'autore decise finalmente di portare in scena la commedia che, in pochissimo tempo, riscosse un tale successo di pubblico e di critica che numerosi teatri ne programmarono più di cento repliche. A presentare questa commedia di Balzac è stato Giuseppe Bernardelli, docente di Letteratura Francese presso l’Università Cattolica di Brescia, ospite dell’ottavo e ultimo incontro del ciclo Teatro 2011 che si è svolto lo scorso giovedì 15 dicembre; all’attore Sergio Mascherpa il compito di dare voce ad alcune delle pagine più esilaranti dell’opera.
Honoré de Balzac, romanziere e drammaturgo francese della prima metà dell’Ottocento, condusse una vita tumultuosa e sregolata, scandita da amori contrastati e da debiti finanziari che influenzarono la sua produzione letteraria; il suo desiderio di imporsi sulla scena teatrale dell’epoca fu dettato sia dal prestigio di cui godeva questa forma di intrattenimento che dall’immediato guadagno che avrebbe potuto ricavarne qualora l’opera avesse incontrato il plauso del pubblico. Spinto da una forte volontà di sistematizzare le più svariate realtà sociali a lui contemporanee, Balzac tratteggiò più di duemila personaggi che rappresentassero i “tipi umani” propri del suo tempo: nacque così la Commedia umana (La comédie humaine, 1834), in cui l’autore, rifacendosi idealmente alla Commedia per antonomasia, fuse tutti i suoi romanzi in un’opera unica, facendo riapparire in nuove vicende gli stessi personaggi delle opere precedenti e organizzando i vari racconti in modo da presentarli come parti autonome, ma complementari, di un quadro d’insieme che fosse al contempo esatta rappresentazione dei costumi della società moderna e fisiologia generale del destino umano. In questi intenti si riflettono contemporaneamente un desiderio di analisi scientifica e di misticismo cosmico. Nonostante la grande rilevanza, non solo oggettiva, ma anche metaforica della struttura della Commedia umana, non è tanto nella sua estensione – quasi cento titoli -, né nella profondità e originalità della sua impostazione, che vanno cercate l’importanza e la grandezza dell’opera di Balzac, quanto piuttosto nel vigore dei caratteri creati dallo scrittore, nella straordinaria forza dei suoi personaggi monomaniaci che nulla distrae dal perseguimento delle proprio idee fisse, nella verità dei drammi domestici di cui avvertì, primo fra i romanzieri, il carattere tragico e nella vivida, a tratti allucinata, esattezza delle descrizioni.
Tale precisione descrittiva è il tratto distintivo che caratterizza anche Mercadet, l’affarista, commedia in cui Balzac mette in scena un mondo losco e variopinto di speculatori e affaristi. Il protagonista Auguste Mercadet è un vero affarista di nome e grande maneggione di fatto, che vive di espedienti, sperperando e investendo non il proprio, ma il denaro altrui; temuto per la sua spregiudicatezza, scaltro, ipocrita e capace di volgere a proprio favore ogni evento, Mercadet vive con il solo scopo di speculare e di arricchirsi, ma appare comunque come un gentiluomo, pur spendendo la sua vita sempre in bilico tra fallimenti, protesti e ingiunzioni di pagamento. Ciò che di lui stupisce non è la sua abilità finanziaria, bensì l’eloquio e la simpatia accattivante con cui riesce a convincere i suoi creditori della bontà degli affari ai quali si dedica, facendo del credito e della credibilità un tutt’uno volto esclusivamente all’arricchimento personale: promette grandi guadagni, alti interessi, investimenti sicuri e con tali promesse riesce a rinviare continuamente il momento della resa dei conti. Questo faiseur, secondo il quale “ogni credito implica una menzogna”, è una figura che guarda con lucidità al mondo in cui vive, rappresentando in filigrana situazioni e fatti della società di metà Ottocento, in cui la millanteria, specie in campo finanziario, prendeva spesso il sopravvento sulla reale condizione di molti presunti affaristi. Anche gli affetti familiari vengono amministrati in vista di un guadagno economico: ne è la riprova l’insistenza con cui Mercadet vuole che la figlia – non certo dotata di straordinaria bellezza - convoli a giuste nozze con un sedicente nobilastro che poi si rivelerà essere tanto falso quanto il futuro suocero, mandando così a monte il matrimonio in un primo momento.
Al di là di ogni riferimento al contesto storico e sociale dell’epoca, questa commedia può essere letta come l’autoritratto fantastico di Honoré de Balzac che aveva una sorta di fissazione per gli affari che gestiva in modo ossessivo e che conduceva con spropositata ambizione. In questo senso Mercadet, l’affarista appare come la rappresentazione di un voler essere più che di un reale essere, in cui è possibile cogliere come la speculazione finanziaria non nasca tanto da un vero amore per la finanza, quanto piuttosto da una presunta forma di libertà più facile a dirsi che a farsi.