«Capisci quello che stai leggendo? E come potrei, se nessuno mi istruisce?». Questo dialogo tratto dagli Atti degli Apostoli, potrebbe spiegare il perché sia la Bibbia, il libro dei libri, al centro dell’appuntamento natalizio nella Libreria Vita e Pensiero.
“Il racconto di Dio tra le generazioni. Bibbia, padri, madri, figli” è il tema dell’incontro che si è tenuto l'11 dicembre con Jean-Pierre Sonnet (nella foto) e Silvano Petrosino e una piccola mostra di esemplari di Bibbie preziosissime, custodite dalla Biblioteca d’Ateneo, le cui storie editoriali sono state raccontate da Paolo Senna.
La Bibbia è «un santuario del pensiero narrativo» ha scritto Sonnet, gesuita, professore di esegesi dell’Antico Testamento alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e autore di Generare è narrare, ultimo numero della collana «Sestante» Vita e Pensiero. Un libro che è una preziosa riflessione sul legame che unisce paternità, maternità, filiazione e racconto biblico. L’abbiamo incontrato per farci raccontare alcuni punti chiave del libro.
Nell’introduzione lei afferma che «la Bibbia fa del generare uno dei primi luoghi dell’esperienza e della rivelazione di Dio, e parla in modo privilegiato a chi è impegnato in questa realtà temibile e benedetta». Perché temibile? «Collochiamo spesso la “storia sacra” dove non si trova, e passiamo accanto ai suoi veri luoghi di rivelazione. Primordiale, nella Bibbia, è l’esperienza del generare. L’ebraico biblico non conosce la parola “storia”, conosce invece la parola “generazioni”. Il generare è temibile perché si tratta di qualcosa che va molto aldilà del prolungamento della specie: si tratta di accogliere una visita. Il piccolo visitatore ci guarda fin dalla sua nascita e, crescendo, ci fa le domande più difficili. In questo, ci salva dall’idolatria, in cui ci circondiamo di specchi muti. È temibile per questo motivo: chi, concependo o adottando un figlio, può conoscere il futuro che gli sarà riservato? Di lui, “ossa delle nostre ossa, carne della nostra carne”, dovremo imparare a rispettare l’alterità fino alla fine… pur tremando per lui fino alla fine».
E, allora, perché benedetta? «L’avventura del generare è benedetta perché è Dio stesso che ci visita attraverso il figlio. Il figlio rivela in noi delle riserve di bontà di cui non ci credevamo capaci, e ci spinge alla fede e alla speranza: impariamo ad affidarlo a Dio nell’incognita della vita, impariamo a credere che, come per Ismaele e Isacco nei momenti critici, ci saranno degli angeli nel deserto. Sì, degli angeli, perché Dio prende infinitamente sul serio l’amore dei genitori, e perché Dio è il primo a benedire il figlio, cioè a volerlo e amarlo per se stesso».
Nel suo testo è centrale la domanda del figlio posta nel capitolo 13 dell’Esodo: «Quando tuo figlio domani ti chiederà: “Perché?”». Ed è fondamentale anche il tema del “passaggio”: cosa passa una generazione credente all’altra? «Il figlio chiede «perché?» e spinge i genitori a essere sinceri, autentici nelle loro risposte. Nel versetto dell’Esodo mi impressiona il fatto che la risposta del padre sia: “Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire…”. Lungi dall’approfittare della fiducia del figlio e dal mettere in avanti la propria forza, il padre biblico mette in avanti la forza di un Altro, del Dio che vuole la vita e la libertà dei suoi. Questa risposta, il figlio la darà un giorno al proprio figlio. Per la Bibbia è capitale che ci sia una trasmissione del “testimone” da una generazione all’altra, una trasmissione che è il cuore della paternità».
Una dinamica un po’ lontana da noi, o sbaglio? «In un certo senso questa prospettiva è contraddetta dalla nostra cultura, che vuole che ogni generazione si inventi a partire da se stessa, al ritmo dei nuovi prodotti lanciati sul mercato. I figli ne sanno più del padre sulla versione 2.0 del software o dell’app e il padre fa ora figura di analfabeta, lui che trasmetteva al figlio tutti i segreti di un savoir-faire. Eppure viene sempre il momento della memoria – non più “esterna”, ma quella, intima, del giovane adulto. Nelle ore di crisi e di prova, il figlio farà memoria di ciò che gli è stato trasmesso – sebbene in modo incoativo – dai genitori. In particolare torneranno alla memoria i riferimenti a una speranza, al segreto della fiducia nella vita – alla mano di Dio intervenuta nella loro esistenza».
«Visitare la colpa dei padri nei figli»: è un passo biblico che spesso viene semplificato o distorto nel senso di trasferire la colpa, o la punizione, da una generazione all’altra. Come va interpretato? «Il senso originale del verbo è “visitare, passare in rassegna”. Che cosa passa in rassegna Dio? Le ricadute sui figli delle scelte sbagliate dei padri. Perché nella Bibbia si parla di “tre o quattro generazioni” e non di due o cinque? Un uomo, nella sua vita, può essere contemporaneo di tre o quattro generazioni. La notte in cui mia madre è morta le è nato il primo pronipotino. Si tratta quindi di un monito: “Attenti! saranno i vostri figli, nipoti e pronipoti a pagare il prezzo delle vostre scelte sbagliate e ne sarete testimoni nella vostra vita”».
Una prospettiva a cui ci richiama anche la questione ambientale: saranno i figli a ereditare un pianeta maltrattato dalla generazione dei padri? «Nella sua “visita” Dio si fa il testimone di queste ricadute infelici, ma il suo visitare è anche uno sperare. Dio spera il rovesciamento della logica, la conversione dei padri e dei figli. Se il padre della parabola vede il figlio prodigo da lontano è perché aspettava questo ritorno ogni giorno. Dio spera, perché tutto può cambiare e le genealogie non sono solo una trasmissione di fallimenti, ma anche, a monte e a valle, di felici sorprese».