Fox vs Mediaset? Non solo due gruppi differenti per contenuti e pubblici ma due visioni diverse della fiction, che spesso finiscono per porsi in dialettica. Come è accaduto il 30 novembre, quando alcuni dei protagonisti delle due aziende si sono trovati nella cripta dell’Università Cattolica, per l’ultimo appuntamento della rassegna Tracce creative, il progetto ideato dal centro di ricerca sui Media e la comunicazione dell’ateneo (OssCom) e l’agenzia di comunicazione TBWA\Italia.
L’argomento era Boris, la serie di Fox Italia, ora riproposta da Rai3, che prende in giro le fiction della tv generalista italiana. A fare da sponda alla apprezzata serie Fox, c’era Giorgio Grignaffini, vicedirettore fiction a Mediaset, che ha sottolineato i meriti della “fuoriserie” nata per il satellite e ha discusso le differenze dei suoi prodotti rispetto a Boris e alle sue parodie delle soap e delle fiction delle reti generaliste. A rappresentare la serie Fox c’erano invece Mattia Torre, sceneggiatore, e Sara D’Amico, direttrice di produzione di Fox Channel.
La discussione è partita proprio dall’origine della serie, che nasce con l’intento «di fare una parodia sul Paese, sulle gerarchie e sul mondo del lavoro. E, ovviamente, sulla fiction italiana», ha spiegato Torre, subito incalzato dalla D’Amico: «Per noi di Fox è più conveniente comprare che produrre, ma su Boris abbiamo investito, perché è un programma che ha caratterizzato la nostra rete. Abbiamo speso molto anche per il lancio pubblicitario, perché promuovere Boris significava promuovere Fox».
I momenti più gustosi sono arrivati quando si è passati ad analizzare le fiction. Torre ha criticato alcuni limiti della tv generalista, passando da mamma Rai. «È strano che un prodotto come Un medico in famiglia abbia creato un genere». La D’Amico l’ha seguito a ruota: « Mi fa impressione vedere come parlano i personaggi di certi medical, nessun dottore parlerebbe mai così. Ci sono molte fiction in cui gli attori parlano tutti allo stesso modo, non importa se sono detective o medici». Grignaffini ha rilanciato distinguendo tra il valore di certe fiction della tv generalista su tematiche “sensibili” (la criminalità organizzata, le crisi famigliari, le gravidanze giovanili) e altre di puro intrattenimento, scherzando infine sul programma simbolo di casa Fox, Lost: «Ma quanti spettatori hanno poi potuto capire il finale?».
I due punti di vista si ricongiungono però quando si parla della difficoltà di fare fiction in Italia, perché «si fa come se fosse cinema, non tv. Sindacati invadenti, agenti (degli attori) insopportabili e una corporazione di registi - racconta la D'amico - che vuole mettere le mani su tutto, anche sulle sceneggiature. La tv normalmente è molto più snella, nella fiction ci sono vincoli eccessivi, non si può nemmeno girare di sabato. Per questo poi la gente scappa in Argentina o in Lituania», raccontano in coro la D’Amico e Grignaffini. Situazioni parodizzate da Boris, come gli straordinari d’aprile del capo elettricista Biascica, un refrain che gli appassionati della serie conoscono bene.
Le due filosofie diverse di televisione ritornano però quando gli autori di Boris hanno rimarcato orgogliosamente il fatto che «(quasi) tutti gli attori sono stati scelti attraverso dei provini, agli sceneggiatori non è stato imposto nessun attore». Una consuetudine più complessa dalle parti di Mediaset o Rai, dove «è normale costruire la storia anche a partire dall’attore, perché una rete generalista deve creare uno star system. Non è pensabile prescindere dai volti e dalle copertine di Chi e TV Sorrisi e Canzoni, che spesso sono più importanti della recensione di un critico».
Il confronto ha infine toccato il tema dei budget produttivi, molto diversi per i due gruppi. E Grignaffini ha ironizzato sul futuro della fiction tv in tempi di crisi: «Chissà che non ci sia il rischio, visti i tempi, che nei prossimi anni si provi a risparmiare girando solo in interni, magari riutilizzando set di fiction precedenti». Ma entrambi, di certo, concordano su un punto: «La differenza potrebbero farla sempre di più gli sceneggiatori», ha concluso il vicedirettore fiction di Mediaset. E la sfida, secondo D’Amico, è tutta nel talento dei giovani: «Il problema diventa proporre progetti che non si limitino a riprodurre modelli esistenti. E che non sembrino dei “film a puntate”: progettare una serie è un lavoro complesso». E la formazione potrebbe fare la differenza.