La stretta creditizia e i possibili strumenti finanziari innovativi per sostenere le imprese negli investimenti a medio-lungo termine. Questi gli argomenti affrontati nel seminario a porte chiuse "Credit crunch. Credit funds", svoltosi questa mattina al Ministero dell'Economia e delle Finanze a Roma. Organizzato dal Dipartimento del Tesoro e dall'Università Cattolica in collaborazione con l'Università di Roma "Tor Vergata", l'incontro ha rappresentato un confronto tecnico tra esponenti dei dicasteri economici, banchieri, dirigenti della Banca d'Italia, docenti e ricercatori universitari sul problema e sulle sue possibili soluzioni.
«Molto resta ancora da fare», ha spiegato il ministro Fabrizio Saccomanni «a fronte di una possibile, significativa diminuzione dei finanziamenti bancari, le esigenze di credito all'economia dovranno essere soddisfatte da altri attori, soprattutto investitori istituzionali, e da nuove forme di intermediazione finanziaria, di cui sono un esempio i credit funds». Questi ultimi, ha ricordato il ministro, intermediano circa l'80% del credito alle imprese e alle famiglie negli Stati Uniti. Ma una transizione simile richiederà «equilibrati interventi sul perimetro e la qualità della regolazione, che tuttavia - avverte Saccomanni - non ostacolino la transizione verso un ruolo crescente dell'intermediazione bancaria all'economia».
Al termine dell'incontro il rettore Franco Anelli ha dichiarato: «L'Università Cattolica è orgogliosa di aver potuto condividere la promozione dell'odierna iniziativa del Ministero dell'Economia e delle Finanze, oggi impegnato al suo vertice, nella persona del ministro Fabrizio Saccomanni» e, soffermandosi in seguito sugli aspetti della questione a lui più noti, ha aggiunto: «dedicando un cenno, per personale formazione, alla variabile giuridica, ho sottolineato che i costi e i rischi legati all'esercizio del credito, dei quali gli operatori debbono tenere conto e che possono condizionare le scelte in tema di erogazione del credito, o, addirittura, di presenza stessa sul mercato, hanno spesso una dimensione giuridica. Ciò si coglie non soltanto in relazione alle notorie difficoltà di esazione dei crediti e alla non piena efficienza del sistema delle garanzie del credito, ma anche in relazione all'incerto trattamento giurisprudenziale di varie tipologie di operazioni, che producono in taluni casi un autentico effetto moltiplicatore dei rischi ai quali il finanziatore si trova esposto. Un assetto maggiormente stabile e prevedibile costituirebbe un importante elemento di rafforzamento della fiducia degli operatori, non solo stranieri».
Tra gli esperti dell'Ateneo chiamati a dare un parere anche Paolo Gualtieri, docente di Economia degli intermediari finanziari, che ha sottolineato la necessità di ampliare la gamma dei soggetti in grado di finanziare il sistema delle imprese in molti paesi dell'Eurozona e segnatamente in Italia. «L'attività creditizia svolta dagli intermediari diversi dalle banche nei paesi del G20 - ha affermato Gualtieri - è aumentata sino a 67.000 miliardi di dollari nel 2011, raggiungendo il 111% del Pil aggregato di quelle nazioni». Cifre imponenti che però si riducono drasticamente nel caso di alcune realtà importanti dell'area euro: «In Francia, Germania, Italia e Spagna, e non solo, la quota degli intermediari finanziari diversi dalle banche è inferiore, in taluni casi anche di molto, al 20%». Le ragioni di questo gap, secondo il docente della Cattolica sono molteplici: «ma forse la più rilevante è proprio che negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni vi è un articolato e molto sviluppato sistema di asset managers indipendenti dalle banche, mentre nell'Europa continentale il ruolo degli istituti di credito è rimasto per ora predominante nel processo di allocazione del risparmio agli investimenti produttivi». Secondo Gualtieri la coesistenza di realtà come i credit funds e le banche tradizionali non è, in sé, un problema e anzi potrebbe essere: «di utile collaborazione se si eviteranno però comportamenti di azzardo morale e conflitti di interesse».