Una congiuntura reale e monetaria ancora condizionata dagli effetti della crisi, con qualche timido segnale di ripresa. Anche se è prematuro dire che il peggio sia passato. È quanto in sintesi sostengono gli economisti dell’Università Cattolica, autori del secondo numero dell’Osservatorio Monetario 2009. Diretto e coordinato da Marco Lossani, il rapporto quadrimestrale è stato presentato l’8 luglio in un incontro promosso dal Laboratorio di analisi monetaria, in collaborazione con l’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb). Dopo gli interventi dei professori della Cattolica, ha concluso la presentazione Fedele De Novellis, economista del Ref (Ricerche per l’Economia e la Finanza) che ha esaminato la crisi dal punto di vista delle famiglie italiane.
Quando finirà la crisi? Secondo Domenico Delli Gatti, docente di Economica politica, è presto per fare previsioni ottimistiche. Alcuni dati invitano alla cautela: il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9% sia negli Usa sia nell’aria euro, con punte del 19% in paesi come la Spagna. La contrazione del commercio internazionale, superiore al 10%, ha ripercussioni profonde sui grandi paesi esportatori asiatici ed europei, Germania in testa. Anche i paesi emergenti hanno rallentato il tasso di crescita, primo fra tutti la Russia. Non diversamente l’Italia risente le conseguenze negative di una situazione incerta, che vanno a innestarsi su un apparato produttivo già in palese affanno. «La crisi - ha spiegato Delli Gatti - ha spazzato via dal tavolo questioni urgenti sul tappeto, come il problema dell’inflazione. Mentre ci si interroga sul rischio di una deflazione. C’è, dunque, molta strada da fare prima di uscire dalla recessione, che non è di modesta durata come quella del 1990-1991 o del 2000-2001, ma di lunga lena».
Giovanni Verga, docente di Economia dei Mercati finanziari all’Università di Parma, si è soffermato sull’utilizzo di misure non convenzionali adottate dalla Fed e dalla Banca centrale europea per fronteggiare la crisi. E ha sottolineato come i provvedimenti settoriali abbiano prodotto effetti di miglioramento in ambito monetario, tra cui un incremento della liquidità. Più complicato nei prossimi mesi sarà capire quando uscire da queste misure eccezionali per evitare che una contrazione indesiderata del settore finanziario e creditizio possa generare nuovi rischi nei mercati.
Crisi e politiche fiscali. Dall’analisi della congiuntura monetaria la discussione si è spostata sulle politiche fiscali in relazione all’evolversi della crisi finanziaria globale, con un particolare focus sull'Italia. Un tema affrontato da Maria Ambrosanio e Luca Colombo, rispettivamente docenti di Scienza delle finanze e Istituzioni di Economia politica. Secondo la professoressa Ambrosanio la profonda crisi economica che il nostro Paese sta attraversando riporterà la finanza pubblica in una situazione di forte squilibrio, vanificando in parte lo sforzo di risanamento compiuto negli anni Novanta. Effetti della crisi aggravati anche dal mancato consolidamento del riequilibrio dei conti pubblici nel corso degli anni 2000. Che cosa ha reso difficile consolidare e rafforzare i risultati conseguiti tra il 1992 e il 1997? «Una riduzione fiscale nel periodo compreso tra il 1998 e il 2005 - ha osservato la docente -. Tre le cause il rallentamento della crescita economica, una serie di misure discrezionali volte a ridurre il carico fiscale sui redditi delle famiglie e sui profitti delle imprese, l’aumento dell’evasione fiscale, accompagnato da condoni e sanatorie». Ciò ha finito per avere profonde ripercussioni sulla finanza pubblica: le troppe misure una tantum e mai strutturali fanno crescere a passi rilevanti la spesa corrente primaria al netto degli interessi. E le previsioni per il 2009, pur incorporando gli effetti della manovra finanziaria del 2008, non sono confortanti. «Il disavanzo pubblico - ha precisato Ambrosanio - dovrebbe raggiungere il 4,6% del Pil, la pressione fiscale crescerebbe del 43,5% contro il 42,8 percento, l’avanzo primario scenderebbe allo 0,4% e il debito pubblico tornerebbe al di sopra del 110%».
Ma la crisi, pur avendo impatti negativi sui conti pubblici, ha prodotto effetti collaterali positivi, consentendo allo Stato un considerevole risparmio sull'onere per interessi del debito pubblico. Ne è convinto il professor Luca Colombo, che con Angelo Baglioni, ha stimato il risparmio derivante dalla riduzione dei tassi di interesse pari a 11,218 miliardi di euro, di cui quasi la metà (5,276 miliardi) relativo ai primi cinque mesi dell’anno. «Ciò potrebbe avere importanti implicazioni in termini di policy - ha detto il professor Colombo -. Sarebbe, pertanto, auspicabile che l’autorità di politica fiscale rendesse noto quali sono i risparmi conseguibili e l’utilizzo di queste risorse».
La recessione e le famiglie italiane. Ma qual è la percezione che le famiglie italiane hanno della crisi? Secondo l’economista Fedele De Novellis il loro indice di fiducia resta migliore rispetto a quello delle imprese. Questo perché le famiglie non sono state raggiunte ancora in pieno dalla crisi. Non a caso di fronte a una riduzione del Pil pari a oltre il 5% nel 2009, il reddito disponibile delle famiglie cala meno dell’1%. Diverse sono le cause. Le imprese si stanno comportando come se fossero ammortizzatori sociali. Infatti, le unità di lavoro in perdita sono state solo 175 mila su 500mila lavoratori, di cui circa 116mila al Sud, 28 mila al centro e 30mila al Nord. In particolare, la crisi industriale nel Nord Italia non ha registrato forti perdite occupazioniali anche per un effetto ridistributivo di cassa integrazione. Inoltre, caduta dell’inflazione, decelerazione delle imposte dirette e crollo dei prezzi delle materie prime stanno assorbendo gli effetti dello shock congiunturale. Tuttavia, per l’economista del Ref, se è vero che i redditi delle famiglie non vanno male c’è il rischio che nei prossimi mesi la situazione peggiori. «La contrazione dei consumi attuali, in buona misura da attribuirsi all'aumento del tasso di risparmio legato al deterioramento delle aspettative dei consumatori, anticipa il fatto che forse il peggio deve ancora arrivare», ha concluso De Novellis.