Viva l'euro, abbasso l'euro. Solo l'anno scorso la valuta comunitaria celebrava i suoi primi dieci anni tra qualche dubbio e molte certezze. Una scommessa vinta, o almeno così sembrava. Sono passati dodici mesi e tutte quelle sensazioni positive sembrano essersi dissolte nel nulla. Perché? Un gruppo di ricerca coordinato da Massimo Bordignon, docente della facoltà di Economia della Cattolica di Milano ha cercato di rispondere a questo interrogativo attraverso il Progetto Prin "Political Economics, Teoria ed evidenza empirica" che lunedì 12 settembre ha provato a fare un bilancio dell'attuale situazione con una tavola rotonda dedicata alla crisi dell'euro e ai problemi di governance.
Già l'euro. Che cosa è successo alla moneta comunitaria? «Nel corso dei suoi primi dieci anni l'euro - ha spiegato Bordignon - gli addetti ai lavori, chi più chi meno, avevano salutato con soddisfazione i primi dieci anni della moneta unica. I risultati del resto erano sotto gli occhi di tutti: stabilità dei prezzi, introduzione dell'euro come valuta in determinati portafogli e maggiore mobilità dei capitali».
Poi è arrivata la crisi. Forte, interminabile. Una crisi straordinaria, fuori da ogni previsione e logica o la dimostrazione, dolorosa, di crepe strutturali? Questa l'analisi di Sandro Gozi, responsabile delle politiche europee del Partito Democratico: «Il problema è che l'euro non è stato sostenuto politicamente. Siamo rimasti a metà del guado e non abbiamo fatto, quando era possibile, i passi avanti necessari. Il Trattato di Lisbona al momento della sua ratifica era già vecchio e con la crisi è diventato decisamente obsoleto. E'impensabile avere, come prevede per esempio l'art. 5 del trattato, una valuta non rappresentata in chiave unitaria ma attraverso un coordinamento dei singoli Stati membri».
Marco Lossani, docente della facoltà di Economia del nostro Ateneo, rincara la dose: « La politica non ha saputo sfruttare la luna di miele fra la valuta europea e i mercati. C'erano tutti i presupposti per fare quei passi in avanti necessari per lo sviluppo dell'euro. Con l'avvento dell'euro si è annullato il rischio di cambio e anche il rischio sovrano. E forse, per quel che riguarda questo secondo aspetto, i mercati sono stati troppo ottimisti. Ci si è illusi che l'euro continuasse a lungo il suo momento felice. Non è andata così».
Non solo l'euro comunque. Sul banco degli imputati c'è anche il Patto di Stabilità. Secondo Andrea Boitani, docente della facoltà di Scienze Bancarie della Cattolica «l'accordo non è stato una buona soluzione ed ha prodotto più danni che benefici. Punire uno Stato sulla base del Pil può funzionare quando ad essere sanzionati sono Paesi deboli, non grandi potenze come Francia e Germania».
E proprio sulla situazione del paese tedesco, attualmente vero ago della bilancia dell'economia europea, si è poi spostata l'attenzione dei relatori. Per Angelo Baglioni, docente della facoltà di Scienze Bancarie, «in Germania la spaccatura all'interno dell'establishment e dell'opinione pubblica è evidente come dimostrano le recenti dimissioni di Jurgen Stark dal board della Bce». La Germania, l'Europa e una crisi economica. Tre elementi che si sono già incrociati e che hanno contribuito a scrivere una delle pagine più drammatiche del XX secolo: «Nel 1931 - ammonisce Boitani - la Francia si rifiutò di aiutare la Germania, in ginocchio a causa della crisi economica post-bellica e i tedeschi furono costretti a fare tutto da soli. Con il nazismo, Hitler e la II guerra mondiale. Coloro che sono contrari alla cooperazione tra gli Stati e teorizzano che ognuno debba pensare per sè dovrebbero ricordare quanto successo in passato e riflettere».
Ma c'è un altro paese europeo dalle cui sorti dipende molto: la Grecia. Secondo Baglioni, «la crisi ellenica è stata gestita in modo farraginoso e maldestro. Si è scelto di operare sul breve periodo ma probabilmente sarebbe stato più opportuno il contrario, andando a colpire, ad esempio, l'evasione fiscale». Boitani ha invece rilanciato l'ipotesi di un "Piano Marshall" per la Grecia sotto la guida dell'Ue.
Altro tema discusso è quello riguardante la cessione di sovranità da parte dei singoli Stati. Un passaggio necessario se davvero si vuole raggiungere la tanto auspicata unità politica economica. «Purtroppo - avverte Gozi - i cittadini europei, e quindi anche quelli italiani, non sono ancora consapevoli dell'importanza di questo passaggio. I tecnici possono auspicare che la cessione di sovranità avvenga quanto prima ma i politici, comprensibilmente, devono rispondere al proprio elettorato. Un problema che in questi giorni sta affrontando anche la cancelliera tedesca Angela Merkel. Tuttavia - prosegue Gozi - affrontare la crisi con i metodi e gli strumenti attuali non ci porterà molto lontano, occorre viaggiare, senza esitazioni, verso l'Unione Fiscale». Anche perché come ha ricordato Boitani «l'integrazione economica è ben più avanti di quella politica. Un fattore di cui i governanti dovrebbero tener conto. E farlo capire ai propri elettori perché il passaggio a un'Europa federale è davvero necessario».
E dunque quale sarà la sorte, nell'immediato futuro, della nostra odiata/amata moneta? Nessuno è in grado di dirlo con certezza dato che, come ha ironicamente ricordato Boitani, «gli economisti, per quel che riguarda le previsioni sono già abbastanza squalificati». Qualche considerazione in fondo però si può azzardare. Per Lossani un eventuale inasprimento della crisi potrebbe portare, per salvaguardare i rispettivi interessi, a un intervento diretto di Francia e Germania nei confronti delle economie più fragili. Ma non c'è da essere molto ottimisti. L'uscita del tunnel non arriverà a breve: «Continueremo a camminare sull'orlo del baratro - ha concluso un disincantato Baglioni - speriamo solo di non precipitare».