È morto martire in Unione Sovietica, Pavel Florenskij (1882-1937), eppure non aveva ricevuto un’educazione religiosa; anzi, per un malinteso rispetto umano, il padre lo aveva tenuto rigorosamente lontano da ogni religione, finendo per privare «la persona che aveva più cara al mondo del sostegno più forte, della più fidata delle consolazioni». Lo stesso ambiente culturale russo a cavallo tra Otto e Novecento, col suo nichilismo, non favoriva alcuno slancio religioso.
Ma sin da giovane Florenskij aveva colto il senso del mistero nel modo più semplice che ci sia: ammirando la natura («Nelle cose più ovvie e ordinarie è nascosto un vertiginoso senso dell’infinità e della trascendenza»), e desiderando vincere la solitudine («Il luogo nel quale incomincia la rivelazione della verità»; «è l’amicizia, come nascita misteriosa del “tu”»). Cosa poi sia diventato Florenskij nella sua maturità non si può dire in poche parole: un ingegnere che ha brevettato trenta invenzioni; un filosofo, grande esegeta del platonismo; un matematico che nel 1922 aveva concepito l’idea dello spazio curvo; uno storico dell’arte che ha restituito la comprensione dell’icona all’epoca moderna; un fine teologo che ha donato alla Chiesa un testo fondamentale.
E oltre a tutto questo è stato un uomo che, nelle condizioni infernali del lager, ha continuato il lavoro di ricerca, mantenendo una profonda vita spirituale, preoccupato di trasmettere ai cinque figli le proprie conclusioni. Il percorso della mostra, che illustra questa personalità così poliedrica, si articola nelle tre fasi principali della sua vita: la formazione, che lo vede abbandonare l’agnosticismo spinto dall’osservazione della natura, per approdare alla fede e addirittura al sacerdozio. Il lavoro, che occupa gli anni centrali e vede fiorire le sue potenti sintesi culturali. E da ultimo il martirio, che lo vede al confino, poi in lager, ma sempre immerso nel lavoro di ricerca e riflessione; fino al giorno in cui viene mandato alla fucilazione.
Ciascuna di queste tre fasi creative si colloca in uno «scenario» particolare: prima il Caucaso (la terra dei suo avi) dalla natura affascinante; poi il grande monastero di Sergiev Posad, nelle cui vicinanze sceglie di vivere per nutrirsi della santità della Chiesa; infine lo splendido e tragico monastero-lager delle Solovki, dove compirà l’offerta di sé. Il suo cammino intellettuale e spirituale è vividamente illustrato nella mostra dai suoi appunti, dagli strumenti scientifici che si costruiva, dalle illustrazioni che preparava per comunicare agli allievi, o ai figli, la sua immensa passione per tutto lo scibile. Appassionato di ogni ricerca scientifica, Florenskij non vedeva nella scienza una forma di dominio sulle cose, anzi, per lui la possibilità di una conoscenza scientifica assolutamente rigorosa dipendeva dalla coscienza del mistero. Sia nel lavoro scientifico che nella ricerca della verità era guidato dall’idea dell’unità: «Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme».
E il metodo di conoscenza di questo mondo è comunionale, raggiungibile solo attraverso una relazione personale: «non un contatto soltanto esteriore, ma un’unità interiore». Nella vita personale invitava a cogliere questo senso in tutte le circostanze, così che neppure un solo istante ne restasse escluso; questa coscienza si era radicata in lui attraverso un’esperienza durissima di sconfitte, spoliazioni e nuovi inizi, da cui aveva tratto la certezza che le vicende personali sono rette da un destino buono. Come scrive al figlio nel 1933, dal campo di concentramento: «Sarebbe ora che tu capissi che tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in ultima analisi, la vita si dirige verso il meglio. I dispiaceri sopportati consapevolmente e alla luce degli avvenimenti generali ci educano e arricchiscono e, in seguito, portano i loro frutti positivi». Gli «avvenimenti generali» di cui parla Florenskij non sono il senso astratto, ma il rapporto con la verità ultima di tutte le cose, che è il tu di Cristo: «Dio non è un’idea innata o trascendentale, o un’idea qualsiasi, è il nostro Padre che ci guida… lo sperimento con tutto il mio essere, perché qualunque sia la mia miseria, mai ho perso la percezione della presenza di Dio, la convinzione che Egli è ens realissimum»
Coordinamento di Angelo Bonaguro, Marta dell'Asta, Giovanna Parravicini (Fondazione Russia Cristiana)
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