«I Romani non hanno inventato il diritto ma la figura del giurista»: questa la conclusione della lectio magistralis che Giovanni Negri (al centro nella foto), docente di Diritto romano all’Università Cattolica a Milano e già preside della facoltà di Giurisprudenza della sede piacentina, ha tenuto a Piacenza lo scorso 10 novembre.
Il professor Negri ha ripercorso alcuni dei momenti di avversione per il diritto romano che la nostra storia ha conosciuto, da Alessandro Verri al nazionalsocialismo. Il primo scrisse: “E perché mai raccogliere nelle Pandette diversi frammenti di Ulpiano e di Paolo? Perché così venerare alcune risposte ai casi particolari a segno di volerle mandare alla posterità?”. E ancora: “Si introdusse la giurisprudenza romana accolta con avida stupidità, credendo di fare una riforma quando si fece solo un cambiamento. E così Irnerio, Accursio, Bartolo e Baldo e tanti altri celebri ignoranti, inondarono l’Italia di grossi volumi che trovarono con nostra vergogna, dei veneratori e di cui riempirono le nostre biblioteche”.
In tempi più recenti, una clausola del programma del Partito Nazionalsocialista affermava: “Noi vogliamo che il diritto romano asservito a un ordinamento materialistico sia sostituito da un diritto comune tedesco”.
Nonostante questa reiterata opposizione al diritto romano esso è sempre vitale, tanto da essere tuttora insegnato nelle università europee e del mondo. Da dove deriva la sua longevità? Per capirlo, non bisogna guardare ai contenuti – i quali, pur presentando analogie col diritto privato attuale, sono inevitabilmente legati a un sistema storico, politico ed economico ormai perduto – quanto piuttosto alla forma mentis, al metodo che tale diritto fornisce: ed è proprio la nascita del giurista, come figura capace di interpretare il diritto, adattandolo alle esigenze della realtà concreta, a risultare ancora feconda oggi.
Soprattutto in un momento nel quale si assiste a una perdita di identità del giurista, sempre più frammentato tra i numerosi specialismi, è fondamentale riscoprire l’origine e la missione di questa figura quale illustrata dall’esperienza romana. Per riscoprire quale sia il nucleo fondamentale dell’esperienza giuridica, la miglior risposta viene proprio dal mondo romano poiché in esso si avverte come “il cuore del diritto sia il cuore del giurista” perché come scrive Pomponio: “Constare non potest ius, nisi sit aliquis iurisperitus per quem possit cottidie in melius produci”.
Non è allora un caso che in Cina, per la preparazione della nuova codificazione civilistica si guardi all’esperienza del Corpus Iuris giustinianeo e siano stati inviati a questo scopo, in Italia, molti giovani dottorandi in Diritto Romano.
Ciò si spiega alla luce della forte funzione pedagogica in grado di coniugare le esigenze di teoria generale e quelle dell’attenzione agli aspetti economico-sociali. Come esempio di questa “fecondità” dell’approccio giurisprudenziale romano è stato presentato durante l’incontro, il frammento di Giavoleno, giurista del II secolo d.C., tratto dal Digesto giustinianeo. Il passo riporta le contrastanti opinioni di Tuberone e Labeone, giuristi di età augustea, sull’attribuzione in proprietà di nuovi giacimenti scoperti successivamente alla vendita di un fondo.
Al di là dell’interesse per la soluzione pratica della questione, a sua volta tanto innovativa da essere ripresa in alcune sentenze di fine XIX secolo, almeno tre sono gli spunti che sono emersi dall’esegesi del testo: la genialità dell’approccio pratico di Labeone, attento alle esigenze economiche dei protagonisti della vicenda e in grado di elaborare una definizione giuridica di “giacimento minerario” che tuttora viene riproposta; l’esemplarità del dibattito tra i due esperti di diritto più antichi, che mostra bene come, oggi come ieri, il diritto sia “ius controversum”, cioè non soluzione meccanica del caso ma risultato proficuo del confronto tra diverse umanità; infine l’esigenza di conoscere e attingere direttamente dalle fonti, perché «studiare il diritto romano soltanto sui manuali, è come farsi raccontare un film che non si è mai visto».
Il professor Negri ha ribadito come non serva, ma anzi risulti controproducente, sforzarsi di “rinnovare” l’interesse per il diritto romano ritrovando gli echi nei moderni istituti giuridici. È necessario «liberarsi dalla tentazione di attualizzare i testi dei giuristi romani, perché questa è la vera condizione per capirli. Per una comprensione più profonda non basta ricercare le analogie, bisogna scoprirne le differenze. I giuristi romani sono un classico della giurisprudenza europea non tanto perché sono simili a noi, ma perché portatori di un metodo da cui trarre prezioso insegnamento».
Pur riconoscendo il nostro come un sistema di diritto legislativo profondamente diverso da quello giurisprudenziale romano, non possiamo confondere il diritto con la legge: non possiamo dimenticare che «tra gli interstizi del testo normativo si trova sempre il giurista e la sua sensibilità».