Nell’imminenza delle elezioni politiche non si possono più rendere pubblici, ma ciò non toglie che esperti di statistica applicata si confrontino sulla funzione e sull'efficacia dei sondaggi come strumenti di previsione dei risultati elettorali. Lo hanno fatto in Università Cattolica a chiusura del convegno Il valore della statistica per le imprese e la società, che si è svolto nell’ateneo di largo Gemelli il 14 e il 15 febbraio. Benito Vittorio Frosini, docente presso la facoltà di scienze bancarie, finanziarie e assicurative, ha introdotto l'incontro prendendo da subito una posizione netta: «Parlare di previsioni elettorali è senza dubbio un azzardo. Tuttalpiù si possono definire "valutazioni", perché i sondaggi elettorali costituiscono il caso più difficile della statistica applicata». Come ha detto Renato Mannheimer, direttore di Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione (Ispo), i sondaggi sono come «fotografie sfocate» per una serie di motivi: c'è innanzitutto, da parte dell'interpellato, una frequente ritrosia a rispondere; c'è il pochissimo tempo in cui i risultati dei sondaggi vengono richiesti – in media da un giorno all'altro – senza tener conto che i dati raccolti, per acquisire un senso, hanno bisogno di essere "pesati", rielaborati. C'è, infine, la variabile dei cambiamenti dell'ultimo momento: sono molti coloro che decidono chi votare solo qualche ora, o addirittura qualche minuto prima di entrare in cabina elettorale. «Non ha senso che lei mi chieda oggi cosa voterò tra due settimane», ha risposto un elettore a Mannheimer, «Lei sarebbe in grado di dirmi che film andrà a vedere al cinema tra quindici giorni? Ecco, per me è la stessa cosa».
Chi ha una visione meno pessimistica sull'efficacia del sondaggio è Giancarlo Gasperoni, docente di Sociologia generale all'Università di Bologna, secondo cui, se è vero che aspettarsi una previsione esatta è una pretesa eccessiva, ci sono strumenti nuovi e più complessi che permettono risultati soddisfacenti, come le cosiddette "aggregazioni" di più sondaggi. «Il sondaggio», ha aggiunto, «è anche un importante strumento di informazione e la legge che in Italia impedisce la pubblicazione dei risultati nei 15 giorni precedenti le elezioni va di fatto contro la libertà di informazione». Dello stesso parere si è detto Maurizio Pessato, vicepresidente di Swg: «Bisognerebbe togliere il sondaggio dal grande contenitore dell'infotainment in cui è stato inserito. Si tratta di uno strumento serio, che ha una valenza di informazione molto importante. Il problema vero è l'individuazione del campione da prendere in analisi, un processo non sempre facile».
Ma per qualcun altro i campioni non sono un problema: Stefano Iacus, di "Voices from the blogs", ha illustrato i punti di forza del nuovo progetto di ricerca nato in seno all'Università Statale di Milano: si tratta di un osservatorio permanente di quello che si dice e si discute in rete. Il problema della reticenza a rispondere alle domande di un sondaggio viene così eliminato perché «sui social network gli utenti lasciano la loro opinione spontaneamente, senza che nessuno gliela chieda». I social network sono inoltre una fonte preziosissima per reperire una grandissima quantità di dati in tempo reale. Come ha spiegato Iacus, «anche se si tratta di un campione distorto, questo tipo di indagine ha dato fino a ora risultati molto soddisfacenti, se si pensa che, analizzando le opinioni espresse in rete per lo speciale del "Corriere della Sera" sulle elezioni americane, "Voices from the Blogs" ha anticipato di un giorno la vittoria di Obama sia a livello nazionale che nei tre “swing states” determinanti per il risultato finale (Ohio, Virginia e Florida)». Il segreto, dunque, potrebbe essere quello di usare modelli più complessi, che tengano conto di tutte le variabili in gioco, in modo da ottenere strumenti più efficaci, pur accettando che, come ha ricordato ancora Mannheimer, spesso i sondaggi sono strumenti usati anche con fini che vanno oltre l'informazione. «A un politico che in Tv si vantava di avere il 20% mi permisi di dire che io avevo altri dati, che a me risultava solo un 5% a suo favore. E lui, tranquillamente, mi ha risposto: "Certo, lo so che ho il 5%, ma io sono qui per lavorare"».