Con l’avvento e la massiccia diffusione di Internet e la nascita di numerosi e più o meno ambiziosi progetti di biblioteche digitali, è naturale interrogarsi su quale futuro possa avere la biblioteca tradizionale cartacea. Ha provato a dare una risposta a una situazione così complessa Giovanna Granata, docente di Bibliografia e Biblioteconomia all’Università di Cagliari, che è intervenuta al diciannovesimo appuntamento dei seminari di cultura del libro e della biblioteca “Leggere tra le righe”, che si è svolto lo scorso 3 novembre a Brescia, alla Libreria dell’Università Cattolica. Il seminario, organizzato dal Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca (Creleb) e promosso dal dipartimento di Scienze storiche e filologiche, prendeva spunto dalla recente pubblicazione del manuale di Giovanna Granata, Introduzione alla biblioteconomia (Bologna, Il Mulino, 2009), un bel libro in cui con piglio intelligente vengono presentate le principali problematiche della disciplina, con particolare attenzione alle più recenti questioni.
Introducendo l’incontro, Edoardo Barbieri, docente di Bibliografia e biblioteconomia della Cattolica, ha descritto i pregi del libro, sottolineando l’attenzione con cui la Granata affronta i complessi problemi che la modernità e il progresso tecnologico pongono davanti agli operatori del settore e agli utenti. Se una biblioteca pubblica, infatti, è sempre rivolta all’utente, di contro non tutte le raccolte di documenti digitali lo sono. «Tutte le previsioni degli studiosi di biblioteconomia – ha esordito Giovanna Granata – pronosticavano un passaggio tutto sommato lineare dalla biblioteca cartacea, alla biblioteca informatizzata, fino alla biblioteca digitale». In questo processo, tuttavia, qualcosa si è inceppato. Infatti, quello che doveva essere il futuro, si è manifestato invece in una coesistenza tra biblioteche tradizionali e digitali, con le seconde che, almeno al momento, non sono riuscite a soppiantare del tutto le prime.
Nel caso delle biblioteche digitali, per la prima volta nella storia del libro, il termine biblioteca da un lato viene associato a un aggettivo che lo qualifica e ne specifica la natura, dall’altro è divenuto, per definizione, plurale. Si parla quasi sempre, infatti, di “biblioteche digitali” più che di “biblioteca digitale” a indicare una vocazione alla pluralità di queste realtà. Il problema è che a differenza della biblioteca tradizionale, quelle digitali non svolgono un ruolo di mediazione tra i documenti e l’utente, anche tramite un catalogo, ma sono delle raccolte più o meno ampie di documenti in formato digitale non strutturate. Sembra poi sparito anche il termine “libro”. A parte in Google Books, il caso forse più celebre di biblioteca digitale, in cui già nel titolo compare la parola libro, si parla sempre più spesso di raccolte di “oggetti digitali”, in cui non mancano fotografie, filmati, file audio... Una congerie di materiali che diventano un vero e proprio ambiente di lavoro in cui – e qui sta forse la differenza più marcata con la biblioteca tradizionale – i vari oggetti interagiscono tra loro e subiscono interventi diretti da parte degli utenti (sottolineature dei testi dei file pdf, “copia e incolla” per la creazione di documenti del tutto nuovi...).
«I documenti librari digitali – continua Giovanna Granata – rappresentano però anche grandi opportunità». Nelle mostre bibliografiche, per esempio, che hanno il limite di non permettere la fruizione completa dell’oggetto esposto, il file digitale consente, di contro, al visitatore di sfogliare, anche se solo virtualmente, il volume. Nella creazione di bibliografie tematiche, poi, l’ambiente digitale dà la possibilità non solo di costruire un elenco di opere, ma di navigare liberamente nei testi tramite collegamenti e link.
Rispetto alle biblioteche tradizionali, nelle quali si è da tempo affermato il principio della cooperazione, nelle biblioteche digitali vige invece quello della competizione e della concorrenza. Ne è un esempio la massiccia campagna di digitalizzazione di tutte le opere non coperte da copyright, avviata da Google Books, cui hanno risposto alcuni progetti europei che hanno come capofila la Bibliothèque Nationale di Parigi. In questi casi si evidenzia anche un altro grande limite delle biblioteche digitali: mentre la biblioteca tradizionale consente il libero accesso a tutte le opere possedute, quelle digitali possono offrire questo servizio solo per i libri non più protetti dal copyright mentre presentano on-line testi parziali per le pubblicazioni più recenti.
Quale futuro allora? Sicuramente le biblioteche, che devono mantenere aggiornate le proprie raccolte, conserveranno il loro carattere ibrido, ma continueranno a fornire la necessaria intermediazione con gli utenti e renderanno veramente fruibili, perché ordinate, le sempre più diverse tipologie documentarie conservate.