Cala l’interesse per il latino tra gli studenti delle scuole? La “colpa” non è solo loro, ma anche di incertezze metodologiche dovute anche ai ripensamenti o agli aggiornamenti degli insegnanti. Nel caso (non è la regola, per fortuna) di classi sempre meno motivate a questo apprendimento, il docente si chiede se non sia opportuno ripensare modalità e strategie del suo modo di fare scuola. Oppure sperimenta percorsi nuovi, salvo considerare che non tutte le novità introdotte sono positive, anzi rischiano di essere fuorvianti.
Per fare il punto su queste metodologie didattiche, non per proporre cose nuove ma per sottolineare punti di forza e di debolezza di quanto si insegna, si è svolto nei giorni scorsi in Università Cattolica a Brescia un seminario di didattica del latino, coordinato dal professor Gian Enrico Manzoni (nella foto a destra), che insegna questa materia nella facoltà di Lettere e filosofia, promosso dal dipartimento di Scienze storiche e filologiche dell’ateneo e dall’Associazione italiana di cultura classica. Un folto pubblico di insegnanti delle scuole della città e della provincia ha seguito i lavori, cui hanno assistito anche studenti delle sedi di Brescia e di Milano dell’Università.
La relazione iniziale, tenuta dal professor Manzoni, era dedicata a La linguistica storica nell’insegnamento del latino. In altre parole, la proposta didattica è stata quella di valorizzare un’impostazione non solo sincronica, ma anche diacronica nello studio della lingua. Vale a dire, di affiancare a uno studio linguistico tradizionalmente sincronico (che considera il primo secolo avanti Cristo e in parte il primo dopo Cristo come l’età aurea per ricavarne le regole grammaticali e sintattiche), anche la riflessione su questa lingua con un’impostazione che renda conto delle trasformazione del latino nel tempo. Lo studio linguistico deve quindi muoversi dunque sia verso l’alto (cioè verso le origini indeuropee) sia verso il basso (il passaggio alle lingue romanze, e soprattutto all’italiano, nei secoli successivi).
L’intervento del professor Luca Redana, del Liceo Bagatta di Desenzano ha invece portato l’attenzione sull’utilizzo del metodo Ørberg, che oggi suscita odi e amori nei docenti. Un metodo che il professor ha usato per cinque anni, salvo poi abbandonarlo per una serie di considerazioni in negativo che ha esposto al pubblico. L’intervento di Redana ha innescato un dibattito con alcuni docenti presenti e che ne sono tuttora sostenitori, un confronto che ha coinvolto anche alcuni studenti universitari.
Ha chiuso il seminario la relazione tenuta dalla preside veronese Augusta Celada, che si è occupata de Il latino nella complessità linguistica e culturale, mostrando come il latino sia complesso ma non complicato, cioè come le parti tra loro s’influenzino e interagiscano, e come esso sia aperto a relazioni col mondo circostante. Capirne le parti costitutive richiede anche una visione d’insieme. In tal senso il latino è una metafora della complessità del mondo contemporaneo, un laboratorio di complessità e di nuova cittadinanza: che è una cittadinanza di complessità, fatta di relazioni, problemi di integrazione e di identità.