di Dante Liano *

La contemporaneità è un vasto e ambiguo territorio dove si può allargare o ridurre la prospettiva, secondo le convenienze. Vorrei proporre, quale inizio della contemporaneità letteraria latinoamericana, la fine del cosiddetto boom, e cioè il gruppo di scrittori capitanato da Mario Vargas Llosa, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar e Carlos Fuentes. Il tempo, strano e casuale, ha dimezzato il quartetto. Cortázar e Fuentes godono di meritata gloria postuma; García Márquez, secondo l’impassibile biografia di Gerald Martin, vaga nelle stanze della memoria, come un Buendía qualsiasi; Vargas Llosa continua a produrre instancabile opere di vario spessore.

Nel panorama della contemporaneità, non possono mancare i grandi padri di una delle letterature più potenti del Novecento. Lo stesso Vargas Llosa, ammiratore di Flaubert ma seguace di Victor Hugo, ha ricevuto il Nobel nel 2010; ogni settimana pubblica le sue opinioni in giornali di tutta la Spagna e l’America ispanica, scrive saggi e romanzi e possiamo considerarlo il più noto fra gli scrittori ispanoamericani vivi. Ma non c’è il solo Vargas Llosa a presiedere questo piccolo Olimpo latinoamericano: ogni giorno si valuta meglio la figura poetica di Ernesto Cardenal, prete cattolico le cui vicende politiche (e le antipatie conseguenti) oscurarono per lungo tempo l’indiscutibile qualità letteraria. Dai giovanili Epigramas, che rendono conto di una cultura classica non indifferente, passando da Ora 0, lungo poema narrativo fondatore dell’“esteriorismo”, fino a Canto cósmico, ambizioso, meraviglioso, poundiano, Cardenal possiede una delle poetiche più consistenti e influenti della letteratura ispanoamericana, in un connubio di fede, stupore per la natura, speranza nell’uomo e sapiente uso della lingua castigliana. Molto diverso da Cardenal, il cileno Nicanor Parra continua con la sua “antipoesia”, un modo poco solenne, caustico, pieno di humour nero, di concepire l’atto poetico. Parra rappresentò una risposta al modo nerudiano, cerimonioso e barocco, di trattare la materia poetica. È sicuramente, con l’argentino Juan Gelman, il poeta che ha più influenza sulle nuove generazioni.

IL GIRO DI VITE DELLA CONTEMPORANEITÀ

Tuttavia, se vogliamo proporre la “contemporaneità” come il periodo posteriore al boom, allora dobbiamo iniziare da Roberto Bolaño. Il narratore cileno marca un punto di svolta dopo García Márquez e compagnia. I suoi romanzi deflagrano contro gli epigoni del realismo magico, autori d’iperboli pirotecniche i quali vendono un’immagine dell’America Latina che l’Occidente ha creato e che si compiace nel vedere riprodotta sotto forma letteraria. Uno degli aggettivi favoriti di García Márquez, descomunal, “enorme”, diventa l’emblema di un continente. Si riproduce così il mito dell’America Latina come luogo delle meraviglie, creato da Cristoforo Colombo e sostenuto dai cronisti spagnoli.

Il giro di vite imposto da Bolaño implica un cambiamento di prospettiva e un cambiamento di stile. Non più l’America Latina da esportazione, popolata da giganti e nani, dittatori e guerriglieri, ma un mondo attraversato dalle stesse angosce dell’uomo contemporaneo, indipendentemente dal posto dove si trova. La creazione del mito (ogni grande letteratura è la creazione di un mito) non si basa più sul meraviglioso, ma sulla ricerca del senso, della conoscenza, della poesia. I “detective selvaggi” che si mettono dietro le tracce di una donna poeta nell’arida geografi a del nord del Messico cercano qualcosa in più di una persona, e le loro sgangherate avventure appartengono alla modesta epica degli uomini comuni. In questo senso, Bolaño è più erede di Roberto Arlt che dello stesso Borges. Alla nuova prospettiva si accompagna anche uno stile chiaro, diretto, poco incline alla prosa barocca che aveva caratterizzato la narrativa ispanoamericana del XX secolo. Forse per questo alcuni accusano Bolaño della mancanza di uno stile riconoscibile, contrariamente a quanto succede con Borges o Neruda o Asturias. Le grandi capacità dell’autore cileno lo fanno ammirare dai giovani scrittori prescelti da lui come successori. In una conosciuta riunione-omaggio al maestro, a Siviglia, nel 2002, l’incoronazione di Bolaño come capo incontrastato della letteratura latinoamericana diventa l’incoronazione dei suoi seguaci, che passeranno a dominare il panorama letterario attuale.

Tuttavia, non è solo Bolaño a operare un cambiamento dopo la sbornia del realismo magico. La letteratura argentina aveva prodotto eccellenti scrittori che si trovavano al margine del canone dominante. Solo con ritardo colpevole le case editrici europee hanno scoperto autori del calibro di Ricardo Piglia, César Aira, Abelardo Castillo, María Elena Walsh, Tomás Eloy Martínez e altri. Tanti altri. Dal canto loro, gli scrittori d’inizio secolo avevano formato dei battaglieri gruppi contestatari, con tanto di manifesti e proclami. Di questi, i due più interessanti sono il “Crack” del Messico e il “McOndo” del Chile. Il primo, capeggiato da Jorge Volpi e Ignacio Padilla, proponeva una letteratura post-nazionale, volendo dare un respiro cosmopolita, con ambizioni globali. Per questo motivo, i temi si spostavano da argomenti strettamente “latinoamericani” (l’ingiustizia sociale, la politica, la memoria storica, gli indios) a qualsiasi contenuto che uno scrittore con ambizioni mondiali potesse affrontare. “McOndo” invece, proponeva una letteratura postmoderna, con allusioni ai mezzi di comunicazione di massa e la sua influenza sull’America Latina di oggi. Il suo principale esponente, Alberto Fuguet, è autore di un romanzo sul giornalismo sensazionalista, Tinta roja, da cui fu tratto un ottimo film. Paradossalmente, Fuguet rappresenta, con la sua vita, quel tipo di scrittore internazionale sognato dai messicani del “Crack”: cresciuto e osannato negli Stati Uniti (ha meritato la copertina di «Newsweek» nel 2002), svolge la sua attività a Santiago.

IL GIALLO, SFIDA E PARADOSSO

Fuori dai gruppi, un genere letterario si è imposto con grande forza: il giallo. Naturalmente, scrivere gialli in America Latina diventa una sfida e un paradosso. In un posto dove le dittature militari di fine Novecento hanno fatto dello Stato il principale criminale (si ricordino i governi golpisti del Cile, dell’Argentina, dell’Uruguay, del Brasile, del Guatemala), il classico schema della hard boiled novel doveva per forza subire degli adattamenti, geniali in alcuni casi, come nei romanzi di Osvaldo Soriano. Che Philip Marlowe si metta a cercare la causa per cui Laurel e Hardy non sono più contrattati dagli studios diventa una meravigliosa invenzione parodistica e totalmente postmoderna. Altri romanzi di Soriano sveleranno un’Argentina cupa e malinconica, ai bordi della depressione. Questa predilezione per il giallo non si spiegherebbe senza la grande influenza di Jorge Luis Borges.

Sarà Borges a sdoganare un genere considerato minore fino a quando lo scrittore argentino non pubblicherà i suoi polizieschi metafisici, di grande invenzione immaginativa e di raffinato uso della lingua spagnola. Da lì in poi, ogni Paese fornisce ottimi narratori impegnati nel noir, il che implica un rinnovamento completo della letteratura ispanoamericana. La ragione è molto semplice. Il giallo serve come veicolo per raccontare la società: Luis Sepúlveda, Paco Ignacio Taibo II, Santiago Gamboa, Santiago Roncagliolo, Mempo Giardinelli, Rolo Díez e tanti altri, nel costruire trame avvincenti di delitti veri o immaginati, dipingono l’America Latina come si presenta agli inizi del secolo XXI. Il giallo impone anche, con qualche eccezione, una maniera limpida di usare la lingua, seguendo uno dei tanti precetti della classicità ispanica: «Ciò che è buono, se breve, è meglio...». Abbiamo, in questa maniera, un grande affresco delle comunità ispanoamericane di oggi, con i contrasti e le sfide. Le maggiori holding di radio e tv al mondo (Carlos Slim è proprietario di una di esse) accanto all’analfabetismo assoluto; il kitsch postmoderno insieme all’artigianato di delicata fattura; la canzone pop con la ballata di radici popolari; megalopoli come Città del Messico simultaneamente a villaggi sperduti nelle Ande; concessionarie che si chiamano “boutique dell’automobile”, che ostentano Porsche e Jaguar, di fronte alla povertà profonda; presidenti indigeni davanti a oligarchie bianche; neopopulismo e democrazie esemplari; la memoria storica e il presente eterno...

UN’ALLUVIONE DI TESTIMONIANZE

Un genere specificamente latinoamericano è quello denominato testimonio. Nasce dal racconto di un ex schiavo cubano, Esteban Montejo, allo scrittore Miguel Barnett. Biografía de un cimarrón marca l’inizio di una forma ibrida di letteratura, a cavallo fra la narrazione e la storia, l’autobiografia e l’elaborazione romanzesca. I fatti raccontati sono reali, i personaggi veri, ma la forma viene presa in prestito dalla narrativa, in modo che diventa una lettura appassionante e coinvolgente. Al grande successo di Montejo/Barnett segue un’alluvione di testimonianze, per lo più di persone che provengono dagli strati più umili della società e che trovano in qualche intellettuale il collaboratore giusto per dar forma al loro discorso. Si me permiten hablar racconta la storia di una donna che lavora nelle miniere della Bolivia, e di come riesce a raggiungere uno status di pura umanità attraverso instancabili lotte contro le multinazionali. Hasta no verte Jesús mío è un’altra grande narrazione, un’epica delle donne che accompagnarono i soldati nella Rivoluzione messicana, nella voce di Jesusa Palancares. Il genere arriva al vertice con la testimonianza di Rigoberta Menchú, Mi chiamo Rigoberta Menchú: attraverso la sua voce conosciamo da vicino il mondo delle comunità maya del Guatemala, riti e costumi, il loro sfruttamento disumano, le loro lotte, i massacri. Il successo di quest’ultimo libro a livello mondiale rese famosa Rigoberta e scatenò un lungo dibattito accademico, tuttora in corso, su verità storica e verità letteraria, sul confine misterioso fra storia e letteratura.

LA POESIA

La poesia ispanoamericana continua a dare i suoi frutti oltre l’esemplare opera di Octavio Paz e Pablo Neruda, entrambi insigniti del premio Nobel. Ho già citato Juan Gelman, argentino, che scava nella lingua spagnola, cercando nella scomposizione delle parole, nelle parole scritte “male”, come non si devono scrivere, l’espressione di ciò che resiste a essere detto; Carlos Germán Belli, peruviano, autore di un neobarocco cibernetico che gioca sulla frontiera fra la poesia e la scienza; Ana María Rodas, guatemalteca, o Gioconda Belli, nicaraguense, alla testa di un femminismo non di maniera, scarno e diretto, che esplora le forme verbali per esprimere le radici profonde della femminilità; Oscar Hahn, cileno, di efficace e schietto laconismo; Raúl Zurita, anche lui cileno, di profonde radici epiche ed emotive.

LA NARRATIVA

I più recenti propendono per la narrativa breve e diretta. Il messicano Yuri Herrera ha sorpreso con il suo maturo esordio, Cantares del reino, storia di un cantautore di provincia ingaggiato da un capo del narcotraffico affinché crei un’epica delle sue gesta, secondo un’abitudine in uso fra i boss della droga nel Messico; Herrera non nasconde il prestigioso influsso di Juan Rulfo, insieme a un ambiente shakespeariano, in un brevissimo excursus tragico del Messico violento della nostra epoca; Alejandro Zambra, del Cile, disegna in Bonsai una storia d’amore fra i giovani d’oggi con un linguaggio ridotto all’osso, dai risultati poetici sorprendenti; Andrés Neuman, argentino, e Fernando Iwasaki, peruviano, sono cultori del microracconto, narrazioni fulminanti che possono avere le dimensioni di un messaggio di Twitter.

È vero che i riflettori della moda europea si sono allontanati dalla letteratura latinoamericana e che continuano a premiare scrittori che ormai superano i cinquant’anni, meglio se ripetono la stanca formula del realismo magico. Forse è un bene, in quanto obbliga gli autori meno anziani a concentrarsi sul mestiere letterario e non tanto sul successo, meno scontato di prima. Ormai c’è una consapevolezza che la letteratura ispanoamericana ha acquisito una dimensione globale e che la misura dell’eccellenza tracciata dai grandi fondatori di questa letteratura impone ai giovani uno sforzo teso a produrre quanto di meglio suggerisce la ricca realtà (una delle più vive al mondo) del nuovo continente.

* Ordinario di Lingua e letteratura ispanoamericana. L’articolo del professor Liano fa parte di un approfondimento sul “Sudamerica, continente alla ribalta” con i contributi di Simona Beretta e Domenico Rossignoli (“Crescere in Democrazia”) e di Gerolamo Fazzini (“Le scommesse di Papa Bergoglio”)