In Italia esiste un problema giovanile che non è solo occupazionale: l’invecchiamento della popolazione rende gli under 30 sempre più politicamente marginali. Per cercare di capire “Come dar peso al futuro”, tema del dibattito promosso il 9 maggio in largo Gemelli a Milano, gli organizzatori Paolo Balduzzi e Alessandro Rosina hanno chiamato a discuterne economisti e demografi, moderati da Eleonora Voltolina, direttrice del sito “La Repubblica degli Stagisti” e autrice del libro, fresco di stampa, “Se potessi avere 1000 euro al mese” (Laterza).
Dai dati presentati dai docenti emerge che nel 1991 la fascia di giovani che va dai 16 ai 30 anni era di 13 milioni e mezzo di persone, mentre la fascia dai 60 ai 74 arrivava a poco più di 8 milioni. Oggi il rapporto è rovesciato: la fascia 60-74 è salita a 9,8 milioni, quella 16-30 è scesa a 9,7 milioni. Se a questa cifra togliamo gli stranieri e i 16-17enni che non votano, gli elettori attivi tra i giovani scendono a 7,5 milioni. Inoltre i limiti per l’elettorato passivo – 25 anni per farsi eleggere alla Camera e 40 al Senato – rendono questo squilibrio ancora più pesante. Comparando questi dati con quelli degli altri paesi si vede chiaramente che in Italia i Millennials – coloro che hanno raggiunto la maggiore età dopo il 2000 – hanno un peso relativo sull’elettorato tra i più bassi al mondo. Insomma se nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica i giovani erano una forza preponderante, in un momento politico cruciale come quello che stiamo vivendo sono sempre più marginali.
Come si può “far contare di più il voto dei giovani”? Dal dibattito sono emerse varie proposte come l’estensione del diritto al voto ai 16 anni e ai giovani stranieri nati in Italia, la soppressione dei vincoli per l’elettorato passivo e due proposte originali: quella dell’economista della Cattolica Luigi Campiglio che, nel volume “Prima le donne e i bambini” (Il Mulino), propone di concedere un voto extra ai genitori per ogni figlio minorenne, e il “voto ponderato” di Balduzzi e Rosina, che attribuisce ai ventenni un voto che vale 1,42 e che decresce con l’aumentare dell’età fino a 0,82 per gli ottantenni.
Nella tavola rotonda sono sembrati tutti d’accordo con le proposte più tradizionali, come l’estensione del diritto al voto ai più giovani e l’eliminazione degli anacronistici vincoli di età per accedere in Parlamento, ma non sono mancate divergenze sulle proposte meno “ortodosse”. L’economista della Cattolica Massimo Bordignon si è detto molto affezionato al concetto “una testa, un voto” che è costato tante battaglie nella storia: «Attenzione a introdurre l’arbitrarietà in questi temi, quando si stabilisce che alcune teste valgono più di altre non si sa dove si va a finire» e ha posto l’attenzione sul tema fiscale, la spesa pensionistica e la tassazione sul lavoro che sono il vero fardello che pesa sui Millennials.
Beppe Severgnini ha invece convintamente appoggiato la proposta di Campiglio: «Anch’io ero inizialmente contrario a criteri come le quote rosa, ma in Italia se lasciamo tutto in mano alla fisiologia, non cambierà mai nulla». La firma del Corriere ha puntato i riflettori anche sulla sistema elettorale: «Il porcellum penalizza i giovani, le amministrative hanno dimostrato che con il doppio turno i giovani partecipano di più: è la legge elettorale ideale, ma i partiti non la vogliono». «Attenzione a creare ghetti generazionali – ha invece ammonito l’economista della Bocconi Tito Boeri –: l’unica soluzione è quella di abbattere gli steccati e chiedere uniformità e concorrenza. Sarebbe più utile abolire il finanziamento pubblico: i giovani hanno dimostrato che attraverso internet riescono a fare politica a basso costo». Varie idee, differenti proposte, ma un’unica conclusione: se l’Italia vuole avere uno slancio verso il futuro deve dare più peso ai giovani.