In un’epoca storica in cui la crisi economica e i conflitti sembrano dividere i popoli, la salvaguardia del patrimonio storico e artistico diventa il luogo della cooperazione internazionale e dello scambio di saperi e competenze. La tutela del patrimonio culturale, bersaglio dell’avidità dei singoli e della criminalità organizzata su scala internazionale, richiede interventi preventivi e sanzionatori da attuarsi mediante il rafforzamento della normativa in un contesto di collaborazione e assistenza giudiziaria tra Stati. Questo il tema del Convegno di studi tenutosi lo scorso 16 gennaio dal titolo “Prevenzione e contrasto dei reati contro il patrimonio culturale. La dimensione nazionale ed internazionale”, organizzato dalla Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale (Cnpds) e dall'International Scientific and Professional Advisory Council of the United Nations Crime Prevention and Criminal Justice Programme (Ispac) in collaborazione con il Centro Studi "Federico Stella" sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp).
Il convegno si è aperto con i saluti del rettore Franco Anelli, del ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi, del comandante generale dei Carabinieri nucleo Tutela Patrimonio Culturale Mariano Mossa, della presidente del Tribunale di Milano e presidente dell’Ispac Livia Pomodoro e del preside della facoltà di Giurisprudenza e direttore del Csgp Gabrio Forti.
Nel corso della prima sessione, presieduta da Adolfo Ceretti, docente di Criminologia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, gli interventi hanno sottolineato l’attualità del dibattito in seno alle organizzazioni internazionali e in ambito scientifico. Citlalin Castaneda de la Mora, dello United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc), ha ripercorso alcune delle tappe della cooperazione internazionale in materia di contrasto al contrabbando di beni culturali, con particolare riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, firmata a Palermo nel dicembre 2000, e alle iniziative intergovernative per implementarne la concreta attuazione.
A testimonianza dell’interesse che circonda le nuove forme di criminalità contro il patrimonio culturale, Simon Mackenzie, Professore di Criminologia, Diritto e Società dell’Università di Glasgow, ha illustrato i più recenti studi empirici nel settore. Le ricerche mettono a disposizione dati significativi sulle dimensioni quantitative e qualitative del fenomeno criminale, con particolare attenzione ai crimini di saccheggio delle zone archeologiche interessate da conflitti e alla descrizione del traffico illecito attuato attraverso i canali del mercato dell’antiquariato.
In ambito prettamente giuridico, Vittorio Manes, docente di Diritto penale dell’Università del Salento, ha svolto un’analisi delle norme del diritto italiano, della loro efficacia per una effettiva tutela dei beni e della loro compatibilità con i fondamentali principi costituzionali in materia penale. Un approccio legale alla discussione sulle possibili tecniche di tutela e sulle occasioni mancate dal Legislatore per l’adeguamento del sistema normativo è stato adottato da Paolo Carpentieri, capo dell’Ufficio legislativo del ministero per i Beni e le Attività culturali, che ha sottolineato la mancanza di coordinamento tra le norme del Codice penale e del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Infine, Giovanni Melillo, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Napoli, ha lamentato l’assenza di sistematicità della disciplina e la mancata attenzione verso le dimensioni internazionali del fenomeno. L’attuale dibattito penalistico in materia di criminalità organizzata, corruzione, evasione fiscale e riciclaggio, non può non tenere conto del fatto che il traffico e il contrabbando di beni culturali è strettamente legato a tali fenomeni criminali e che necessita, quindi, una organizzata cooperazione tra le autorità giudiziarie dei Paesi coinvolti.
Nel corso della sessione pomeridiana, presieduta dal professor Gabrio Forti, ampio spazio è stato dedicato al tema degli strumenti nazionali e internazionali di prevenzione per la tutela del patrimonio culturale. Tullio Scovazzi, docente di Diritto internazionale dell’Università di Milano Bicocca, è intervenuto sul ruolo dell’Unesco nella tutela del patrimonio culturale e sui rapporti tra gli Stati coinvolti nel traffico transnazionale di beni. Prima delle norme di regolazione giuridica, che possono eventualmente consentire restituzioni o comporre controversie sulla titolarità dei beni culturali, esistono esigenze culturali ed etiche che dovrebbero essere ritenute prevalenti. Questi particolari beni, se rimossi dal contesto culturale di appartenenza, rischiano un irrimediabile deterioramento o la completa distruzione del loro valore culturale. La soluzione per via solamente giuridica di tali problemi, inoltre, tende a perpetuare inaccettabili sperequazioni tra Stati “forti” e Stati “deboli” sul piano politico ed economico internazionale. Sul punto, si sono rivelate di estremo interesse le soluzioni prospettate da Marc André Renold, docente di Diritto dell’arte e dei beni culturali dell’Università di Ginevra, che ha illustrato la varietà di strumenti per la restituzione, il ritorno e il rimpatrio dei beni culturali, nonché l’esistenza di strumenti alternativi più rispettosi del senso di giustizia e di appartenenza culturale dei beni.
A conclusione del ciclo di interventi, Arianna Visconti, ricercatrice di Diritto penale e membro del Csgp, ha illustrato il progetto dell’Unodc incentrato sulla redazione di guidelines per la prevenzione e il contrasto dei reati contro il patrimonio culturale. L’intervento ha sottolineato l’irrinunciabilità del momento preventivo per la tutela del patrimonio culturale, attuabile attraverso strumenti pre-penalistici (di natura tecnica, istituzionale, sociale e culturale) che, in molti casi, si rivelano più efficaci degli strumenti sanzionatori penalistici, e in ogni caso necessari al corretto ed efficace funzionamento dello stesso strumento penale. Nell’ottica di una tutela penale sussidiaria, è stata auspicata l’introduzione di strumenti sanzionatori che privilegino il recupero alla collettività dei beni, come la confisca, o che mirino alla effettiva incapacitazione dei soggetti coinvolti, come le misure interdittive.
Ha chiuso il Convegno di studi la relazione di sintesi di Stefano Manacorda, docente di Diritto penale nella Seconda Università di Napoli, vice presidente e direttore dell’Ispac, che ha sottolineato il pregio dell’incontro e la formulazione di concrete opzioni di politica criminale per il rafforzamento della tutela e il coordinamento della disciplina. Deturpazioni, furti, saccheggi, esportazioni illecite e contrabbando, attuati da organizzazioni criminali internazionali anche attraverso l’utilizzo dei canali “istituzionali” del mercato dell’arte, costituiscono un serio pericolo per il patrimonio culturale dell’umanità, bene comune di cui gli Stati sono custodi, e di cui deve essere preservato il godimento anche per le generazioni future.