Le restrizioni sanitarie dovute all’emergenza del Coronavirus, come il mantenere le distanze tra persone e l’evitare strette di mano e abbracci, vedono un nuovo modo di vivere la socialità con la sospensione di quelli che - almeno nella nostra cultura - erano ritenuti gesti normali e spontanei, segno non solo di cortesia ed educazione ma anche di amicizia e affetto.

Adesso in città sono pochi coloro che circolano per la strada e i poliziotti all’ingresso dei supermercati controllano che le persone siano a distanza di sicurezza. «La città offre uno scenario apocalittico al quale non eravamo abituati e che modifica le relazioni e ciò che diamo per scontato», osserva Rita Bichi, docente di Sociologia generale. «Prima non si faceva caso alle distanze, ora si sta attenti e costa fatica non poter coltivare il rapporto con i familiari anziani che in questo periodo è consentito accudire ma con opportune cautele per salvaguardare la loro maggiore vulnerabilità».

Allora si intensificano i rapporti virtuali a distanza consentiti dalla tecnologia: con maggior frequenza rispetto a prima i contatti personali e professionali avvengono per lo più tramite telefono, internet, skype. Per la professoressa Bichi «l’attuale situazione, con i relativi accorgimenti anche nel contatto fisico, offre lo spunto per una riflessione sul dopo, per capire quello che diamo per scontato e che invece è importante nella nostra vita di relazione, come la vicinanza fisica degli altri».
 
Sul tema del contatto nelle normali relazioni sociali Andrea Gaggioli, docente di Psicologia generale, evidenzia l’importanza della comunicazione non verbale, presidiata da diversi sistemi del linguaggio del corpo, come la pantomima e la prossemica. «Anche la distanza comunica, esistono varie tipologie di distanza, in base alle diverse tipologie di relazione, da quelle intime a quelle personali fino a quelle pubbliche. Esiste un automatismo legato all’uso della comunicazione non verbale, con gesti ritualizzati che azionano la conversazione. In assenza di questi, data l’eccezionalità del momento, possiamo utilizzare gesti vicari del consueto tipo di gestualità affidati alla nostra creatività per superare l’automatismo della stretta di mano, come ad esempio salutare toccandoci i piedi o inventando nuove forme che possono anche dire l’appartenenza a un gruppo, comitiva, associazione. È bello immaginare che sia possibile creare forme alternative che siano espressione d’improvvisazione e di nuove culture».

Secondo il professor Gaggioli «l’attuale contingenza emergenziale può costituire l’occasione per apprendere come si costruiscono i nuovi codici espressivi, come quello del tocco del piede, perché dà l’idea di quanto sia plastica la comunicazione umana rispetto all’evolvere degli eventi e mutevoli i linguaggi e codici della comunicazione non verbale. In realtà si tratta di gestualità che sono già presenti nella nostra micro cultura».

È questo un segno della “comunicazione positiva” che non mira a creare allarmismi ma, anche grazie a una buona dose di fantasia, a condividere messaggi di altruismo e solidarietà, per controbilanciare lo tsunami che ci ha colpito in questo periodo.