Capitano di fregata della riserva della Marina Militare. In questa veste Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell’Aseri, ha potuto imbarcarsi il mese scorso nave Bergamini, comandata dal Contrammiraglio Salvatore Vitiello, impegnata nell’Operazione Mare sicuro. Ventun giorni per vedere da vicino le esperienze di salvataggio dei profughi e partecipare alle operazioni di monitoraggio delle coste italiane sul Mediterraneo. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come si svolge una giornata tipo a bordo della nave.
«Le informazioni su quello che succede sulla costa libica e le condizioni metereologiche sono le premesse di ogni breafing serale per decidere le partenze verso i porti di Sabrata e Raguli e la dislocazione delle navi, ognuna in una zona di rispetto. A metà mattina in genere arriva la chiamata del thuraya che chiede soccorso in mare dal barcone. Questi telefoni hanno un sistema di gps interno che permette di localizzare il barcone e quindi di procedere a inviare gli elicotteri per verificare la situazione e tranquillizzare le persone a bordo.
Come si svolgono le operazioni di soccorso? «Le navi che si trovano in area si dirigono in quella direzione e vengono calati i mezzi leggeri, ossia i gommoni, perché sono il mezzo più rapido per arrivare a destinazione. Mentre infatti la nave raggiunge una velocità di 27 nodi, il gommone arriva a 47. Il duplice obiettivo è di mantenere la calma tra le persone a bordo per evitare che il mezzo si ribalti e di far indossare a tutti i salvagente prima che partano le operazioni».
A questo punto cosa succede? «Prima i minori, poi le donne con bambini e infine gli uomini vengono trasbordati a gruppi di 30/40 dal natante alla nave. Ciascuno viene identificato sulla base delle proprie dichiarazioni e visitato. Chi presenta patologie viene evacuato sull'elicottero, gli uomini sani vengono portati sul ponte di volo, le donne sull'hangar e se la temperatura è troppo elevata viene montato un sistema di protezione dal sole. Vengono poi distribuite coperte, laddove necessario, e pasti caldi. L'operazione dura dalle 10 del mattino alle 16, poi intorno alle 18 viene effettuato un trasbordo in senso inverso verso navi più grandi che hanno il compito di portare le persone verso un porto vicino in modo da poter disporre già il mattino seguente del più alto numero di navi possibile».
É possibile identificare gli scafisti durante queste operazioni? «Riuscirci è un'illusione. Quando con il gommone si raggiunge il barcone ci sono i fotografi che scattano foto a chi è al timone, ma non si tratta mai dello scafista. Se fosse lui, infatti, i trafficanti rischierebbero di perdere i loro scafisti e non se lo possono permettere perché uno dei problemi di queste organizzazioni è proprio la mancanza di manodopera. La verità è che su questi mezzi si affidano il timone e la bussola numerica che indica la rotta a qualcuno che sembra sufficientemente perspicace e abile, gli si indica il serbatoio della benzina e gli si dà il compito di chiamare alle 10 di mattina il numero della Guardia Costiera preimpostato sul telefono».
Quindi non c’è modo di capire chi sono… «Gli scafisti a cui ci si era abituati si trovano solo a bordo dei grandi pescherecci dall'Egitto e degli yacht rubati che seguono la tratta Grecia-Italia-sud dell'Albania, perché su queste rotte c’è bisogno di personale esperto, o sulla tratta Turchia-Grecia dove l'apparato navale è molto più debole e gli scafisti riportano indietro lo scafo».
Passando dall’operazione a bordo della nave Bergamini agli scenari internazionali, quali conseguenze avrà l’accordo dell’Unione Europea con la Turchia sulla crisi migratoria? «È un modo per la Germania di liberarsi del flusso di rifugiati. Un accordo indecoroso perché non si può sapere come tratteranno queste persone i turchi. Il patto non avrà particolari conseguenze per l’Italia perché noi siamo coinvolti dai flussi di migranti proveniente dalla Libia. Un flusso che rischia di aumentare con la stagione estiva, condizionato da cosa accadrà in Libia, se ci sarà o meno una stabilizzazione».
Si può fare una previsione rispetto a questo processo? L'ipotesi che la Libia si stabilizzi nel breve-medio periodo sotto il controllo di Serraj è abbastanza improbabile. L'unico attore che ha una forte forza militare sul territorio è il generale Haftar che però non riconosce il governo di Tripoli. La stabilizzazione del Paese è un'operazione molto complicata che in buona parte, se non esclusivamente, deve essere portata avanti dai libici. La parte più semplice dell’operazione sarebbe eliminare Daesh, ma il problema poi sarebbe quello di trovare un accordo tra tutte le forze in campo e i padrini politici. Queste forze non si sono mai direttamente scontrate sul terreno e dunque tutte pensano ancora di poter vincere. In questo contesto la decisione di armare il governo di Serraj allunga la guerra civile».
É sufficiente l'impegno dell'Europa per gestire la crisi? «In Europa la mancanza di collaborazione non è sul salvataggio, dove si fa il possibile e anche l'impossibile. Il problema è sul “dopo”, perché non c'è nessun tipo di coordinamento sulla gestione dei migranti e i ricollocamenti non esistono. I migranti che arrivano in Italia sono trasformati dai nostri concittadini europei da temporanei accolti a residenti. I ricollocamenti sono stati solo 600 dai 30mila che dovevano essere realizzati. È praticamente come ricollocare il mare con il cucchiaino.