Michele FaldiSe ne parla dalla riforma Moratti del 2003 ma oggi, con la piena operatività della legge 107/2015, la cosiddetta Buona scuola, il tema è uscito dal perimetro dei soli addetti ai lavori. L’alternanza scuola-lavoro (asl) impegna tutte le istituzioni scolastiche dell’intero territorio nazionale, e non solo gli istituti tecnici e professionali, ad attivare modalità di apprendimento flessibili che connettano in modo sistematico la formazione in aula e l’esperienza pratica. I problemi per mettere in moto una macchina del genere non mancano.

«Per la gran parte delle scuole è un’attività completamente nuova» afferma Michele Faldi (nella foto), direttore Didattica, Formazione Post-laurea e Servizi agli Studenti dell’Università Cattolica. «Le scuole, e soprattutto i licei, scontano il fatto che cominciano quest’anno per la prima volta quest’avventura e generalmente non si trovano pronte. Manca ancora una capacità progettuale che vada oltre l’individuazione di spazi fisici nei quali collocare gli studenti. Ecco allora che assistiamo all’assalto anche all’università per “piazzare” i ragazzi, spesso fraintendendo il ruolo e i compiti che la normativa assegna ai diversi attori. D’altra parte non possiamo negare che il grande assente è oggi il mondo del lavoro, le imprese e le aziende stesse sono abbastanza impreparate e, al di là delle positive dichiarazioni di principio di qualche imprenditore o delle associazioni di categoria, non si sono dimostrate entusiaste e molto proattive».

l ruolo e i compiti che la normativa assegna ai diversi attori. D’altra parte non possiamo negare che il grande assente è oggi il mondo del lavoro, le imprese e le aziende stesse sono abbastanza impreparate e, al di là delle positive dichiarazioni di principio di qualche imprenditore o delle associazioni di categoria, non si sono dimostrate entusiaste e molto proattive».

Altre criticità? «A livello generale di sistema alcuni economisti del lavoro hanno lamentato il mancato coinvolgimento dei sindacati nel processo di decisione dei percorsi formativi di asl e di individuazione dei settori in espansione; altri hanno notato la mancanza di una remunerazione per l’attività prestata dal giovane in alternanza scuola-lavoro, indicandola come un limite nel caso dello studente che tende ad abbandonare la scuola».

Quali sono le condizioni di successo di un percorso di alternanza scuola-lavoro? «Attenzione ai contenuti (perché non tutto quello che si fa al di fuori dell’aula è significativo), flessibilità dei percorsi (per offrire agli studenti momenti di apprendimento e di lavoro adeguati ai differenti percorsi scolastici), condivisione degli obiettivi e degli strumenti (perché la scuola e gli enti sul territorio hanno preoccupazioni e tempi che spesso divergono)».

Testa con libriCome vanno per ora le «Secondo l’Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa), che annualmente monitora il processo, la quota di scuole superiori che fino allo scorso anno ha attivato percorsi di alternanza scuola-lavoro è ancora limitata, il 43,5% e tra queste solo il 13,3% sono licei. In totale i ragazzi coinvolti superano di poco le 200.000 unità, che è meno dell’11% della popolazione scolastica complessiva. Le aziende ospitanti sono circa 55.000 e i percorsi durano mediamente 97,9 ore di cui 25,7 in aula e 72,1 fuori da scuola, per un totale di 12 giorni».

Cosa possiamo dedurne? «Se, come è del tutto probabile, a partire dal presente anno scolastico i numeri esploderanno non si può nascondere che per rendere possibile una solida esperienza di alternanza per tutti serviranno più imprese, una disponibilità all’ospitalità molto maggiore (come numero di ore) e un profondo ripensamento sia del calendario che dell’offerta formativa delle scuole».

Come si colloca, in questo quadro, un ente di formazione come l'università? «Di per sé non è un soggetto che la normativa ha previsto tra i principali attori del processo. Secondo me se l’asl - come metodologia didattica innovativa - è pensata per avvicinare i giovani al mondo del lavoro, per orientarli e per promuovere il successo scolastico, è decisivo il coinvolgimento, oltre che delle scuole, anche delle famiglie e delle reti territoriali in una co-progettazione formativa che sia efficace. L’università può contribuire in modo significativo ad affiancare le scuole nella progettazione dei percorsi e nell’individuazione delle attività, oltre a poter fornire un valido supporto nella riflessione metodologica sull’asl».

Quale è l'esperienza dell’Università Cattolica? «L’ateneo in via sperimentale già nel 2014-2015 ha attuato partnership con sei scuole per ospitare studenti in alternanza. La pluriennale esperienza nel campo scolastico ed educativo dell’Università Cattolica, la fitta trama di relazioni con le scuole (basata sull’attività di ricerca, di formazione in ingresso e permanente per gli insegnanti, sulle attività di orientamento in ingresso all’università) ci ha suggerito di valorizzare questi nessi, offrendosi come destinazione per i giovani. Il buon esito dello scorso anno ci ha poi indicato la strada da seguire quest’anno quando, in forza dell’entrata in vigore della legge, abbiamo avuto un vero e proprio boom di richieste e di opportunità nei campus di Milano, Brescia e Piacenza-Cremona».

Qualche numero? «La sola sede milanese dell’Ateneo sta gestendo rapporti con oltre quaranta Istituti scolastici e ha predisposto altrettanti progetti formativi, alcuni dei quali in questo momento si sono già conclusi. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla disponibilità delle strutture e degli uffici che si sono coinvolti (Biblioteca d’Ateneo, Direzione Risorse umane, Direzione Cooperazione, Servizio Orientamento, Ufficio Integrazione studenti con disabilità, etc.), permettendo anche un preciso matching tra le esigenze e gli interessi degli studenti da un lato e le possibilità concretamente operative dall’altro».

Come valutare questi primi esperimenti? «Si può senz’altro affermare che l’esperienza cominciata sta procedendo molto bene e che siamo soddisfatti. Si sono confermate le intuizioni che ci hanno mosso nel proporre queste iniziative; i docenti delle scuole hanno trovato nell’Università Cattolica un partner affidabile e attento, gli studenti hanno trovato strutture accoglienti e formative, noi abbiamo avuto la possibilità di coinvolgere sia gli studenti che gli insegnanti in una relazione non solo organizzativa».

Che prospettive di sviluppo si intravedono? «Per il futuro penso che l’aspetto più importante sia poter garantire alle scuole la disponibilità a co-progettare i percorsi di alternanza. C’è ancora molto da fare, soprattutto perché le istituzioni scolastiche si trovano ancora abbastanza in difficoltà a livello qualitativo, più che quantitativo. Considerando che la Buona scuola non si limita alla sola alternanza scuola-lavoro, il compito che ci aspetta è davvero quello di costruire insieme un vera e propria "impresa educativa"».


Nella foto in alto: Silvia, Giacomo e Lorenzo, studenti dell'Istituto tecnico "Nicola Moreschi" di Milano, durante il periodo di alternanza scuola-lavoro in Università Cattolica