Twitter è il social network del momento, Pinterest la rivelazione, YouTube una realtà consolidata, ma alla fine il re è sempre lui, sua maestà Facebook. È questo uno degli aspetti più interessanti emersi dalla ricerca dedicata al rapporto tra brand e social network promossa da OssCom e Digital PR e presentata in Cattolica lo scorso 19 giugno presso la sede di via Nirone.
Il report è una sintesi di un anno di lavoro durante il quale sono state monitorate 100 aziende e che ha prodotto 5 pubblicazione relative ad altrettanti settori merceologici: Consumer Electronics, Automobili, Banche-Assicurazioni, Retail e Servizi energetici-Telecomunicazioni.
Diversi gli elementi di riflessione: il settore che sfrutta di più i “social” è quello legato a servizi energetici e telecomunicazioni, i più “freddi” invece sono le banche e le assicurazioni. Analizzando nel dettaglio il report sono molte (e note) le aziende che hanno una strategia ben definita e una vita “social” di primo piano. Tra i brand definiti “leader” in questo senso possiamo infatti trovare marchi come Nokia, Fiat, Ikea, Vodafone, Webank, Genialloyd ed Enel.
Una lista che dimostra quanto ormai l’utilizzo dei social network sia ormai una prassi consolidata per le aziende italiane: il 72% delle imprese nostrane utilizza infatti almeno un social media. E come lo usano? Per rispondere a questa domanda il report ha suddiviso i brand in sei “stili di gestione”: dialogatori, trascinatori, promotori, broadcaster, timidi, e osservatori.
I dialogatori si caratterizzano per l’aggiornamento frequente dei propri profili cercando il dialogo attivo con gli utenti anche attraverso sondaggi, domande e quiz che li stimolino a intervenire. I trascinatori invece coinvolgono gli utenti, che sono presenti attivamente sui profili, puntando sulla loro passione per il brand e creando per loro un mondo privilegiato con anteprime, tutorial, servizi clienti e promozioni in esclusiva.
Poi ci sono i cosiddetti promotori che aggiornano con costanza e tempestività i profili soffermandosi sia sull’offerta commerciale che sul mondo del brand riuscendo a suscitare l’attenzione e i feedback degli utenti. La categoria dei broadcaster predilige aggiornare frequentemente i propri profili con notizie che riguardano i prodotti e il proprio settore puntando a costruire spazi con informazioni precise e dettagliate. Infine le due categorie meno intraprendenti: i timidi, che si caratterizzano per una presenza poco intensiva sul mercato italiano con profili con una modesta frequenza di aggiornamento e un ridotto feedback degli utenti e gli osservatori ovvero i soggetti che hanno profili poco movimentati e non utilizzati dagli utenti, sintomo di una presenza sui social media ancora da costruire dal punto di vista della strategia.
L’analisi di questi dati è stata al centro della tavola rotonda ospitata dalla Cattolica e alla quale hanno preso parte oltre ad accademici e professionisti del settore anche i responsabili dell’area social delle aziende prese in oggetto dalla ricerca. Per «Ci siamo buttati con coraggio nei social media – ha spiegato Vittoria La Porta (Webank) – ma per farlo occorre avere una sponsorship nella dirigenza. Tuttavia bisogna anche essere consapevoli che è anche possibile sbagliare e questo aiuta a gestire i social media in modo più sereno".
«Per noi – prosegue - engagement vuol dire contestualità, ovvero esserci dove gli utenti ci sono, e mixare i contenuti, ovvero parlare dei prodotti ma fornire anche informazioni più generali. Cerchiamo inoltre di coccolare gli utenti con anteprime di prodotto».
Racconta Stefania Neirotti (Fiat): «Siamo approdati ai social media nel 2006/7 nell'ambito dello svecchiamento del brand Fiat legato soprattutto al lancio della nuova 500. Abbiamo una strategia social a 360°, ci avviciniamo anche ai nuovi social network, come Pinterest, Instagram e Google +, cercando di capirli e usarli al meglio».
«Per policy – continua - non banniamo nulla, se non i commenti puramente offensivi, e con stupore vediamo che spesso le discussioni si moderano da sole perché gli utenti dicono la loro opinione. L'engagement per noi significa saper ascoltare perché se ti metti in gioco le persone ti seguono».
Mettersi in discussione più che in vetrina perché, come spiega Andrea Ferri (Vodafone) «le persone non vanno sui social network per comprare. Nelle piazze virtuali le persone infatti non si percepiscono come acquirenti, sono lì per parlare e confrontarsi con l'azienda. Sono tanti gli elementi che costituiscono il successo. In particolare conta per noi la trasparenza di mettersi in gioco al 100%».
Per Thomas Campaner (Ikea): «Il nostro obiettivo è quello di imparare dai nostri utenti anche sui social network. La nostra presenza sui social media si rivolge agli acquirenti nella fase di interessamento al prodotto».
E una tavola rotonda di questo tipo non poteva essere che social e a dimostrarlo è stato Twitter, il social network più adatto al racconto “live” degli eventi, dove l’hashtag #obsm (ndr Osservatorio Brand e Social Media) scelto per indicizzare i tweet dei partecipanti è diventato trending topic italiano per alcune ore della giornata del 19 giugno grazie al continuo flusso di cinguettii e di foto postati dai presenti che hanno così condiviso con le loro liste di follower l’analisi della ricerca. Perché, come twitta la social manager Cristina Simone citando i relatori «se si accetta di andare sui social network, ci si apre ai commenti positivi come a quelli negativi».