Hanno un interesse maggiore verso la politica, vivono in simbiosi con la tecnologia, vogliono mettersi in discussione e diventare autonomi. Sono i Millennials, i giovani che sono diventati maggiorenni nel XXI secolo. Sono stati loro i protagonisti dell’incontro organizzato dall’Università Cattolica in largo Gemelli, a Milano, a partire da una ricerca condotta da Alessandro Rosina e Paolo Balduzzi. «L’Italia investe poco sui giovani che sono stati penalizzati da molte scelte politiche», ha detto Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano. «Basti pensare all’enorme debito pubblico, all’iniquità del sistema pensionistico e al mercato del lavoro senza adeguati strumenti di protezione sociale», ha aggiunto. Le prime vittime di questa realtà sono stati gli attuali trentenni, che però non hanno reagito rifugiandosi nelle loro famiglie d’origine.
I Millennials invece sembrano avere un atteggiamento diverso. Alcune ricerche effettuate negli Usa li dipingono come più consapevoli, più partecipativi e meno individualisti, con maggior fiducia in se stessi e propensione al rischio rispetto agli attuali trentenni; con una composizione più multietnica rispetto alle precedenti generazioni; con maggiori competenze verso le nuove tecnologie rispetto ai loro genitori. In più il 90% degli americani compresi tra i 18 e i 27 anni pensa di poter dare un contributo importante per lo sviluppo del proprio paese. Un interesse crescente nei confronti della politica testimoniato anche dal peso che i giovani americani hanno avuto nelle ultime elezioni presidenziali. I voti dei giovani hanno inciso in misura rilevante sull’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Ben il 66% degli under 30 statunitensi ha scelto il candidato democratico, a fronte del 53% dei popular votes che sono andati al neo presidente.
Comparando i dati che emergono da diverse analisi realizzate da vari istituti (Istat, Eurostat, Iard, e altri), la tendenza sembra essere confermata anche per i giovani italiani. I Millennials di casa nostra sono più vivaci e propositivi rispetto alla generazione immediatamente precedente. Forse anche perché hanno potuto cogliere, attraverso gli occhi dei loro fratelli più grandi, i nuovi rischi e si sono preparati meglio a fronteggiarli. Ma la possibilità di far sentire la propria voce si scontra con due ostacoli rilevanti: vivono in un paese che dà poca fiducia e spazio all’iniziativa dei giovani e appartengono alla generazione nata in piena denatalità. A ogni modo, la generazione dei Millennials sembra discostarsi dalla generazione X che l’ha preceduta.
E proprio su questo tema si sono confrontati gli ospiti intervenuti al dibattito. Paolo Balduzzi, ricercatore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano, ha parlato «dell’abbattimento delle barriere in entrata per dare realmente ai nostri giovani la possibilità di emergere». Sul ruolo dei giovani di seconda generazione si è soffermata Sara Amzil, una studentessa 21enne nata in Marocco e trasferitasi in Italia a soli 2 anni. La Amzil ha raccontato i disagi con cui quotidianamente si deve confrontare. «Siamo di fatto italiani, pur avendo origini differenti - ha affermato Sara, componente dell’associazione giovani musulmani d’Italia – . Non abbiamo scelto l’immigrazione, siamo stati trapiantati e non abbiamo né la possibilità di votare né di partecipare a un concorso pubblico». Il rischio concreto, secondo la giovane italo-marocchina, è che siano «proprio i ragazzi a pagare la crisi attuale anche a causa della mancanza di politiche adeguate».
Il professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori e urbani dell’Università Statale di Milano, ha iniziato il suo intervento citando il deprecabile slogan rivolto qualche domenica fa allo Stadio Olimpico di Torino all’indirizzo del calciatore Mario Balotelli: «Non esistono negri italiani». Un incipit forte per ricordare che «noi italiani non siamo abituati a pensarci come una popolazione multietnica nella quale ci possano essere anche uomini e donne di colore o con fattezze orientali». Il sociologo ha poi sottolineato come «il fatto stesso che si parli di seconda generazione significa che percepiamo queste persone come diverse da noi» e ciò, senza ombra di dubbio, non costituisce un buon segnale per la nostra società.
Massimo Livi Bacci, demografo dell'Università di Firenze, ha invece caratterizzato i giovani d'oggi con tre termini: pochi, lenti e tardi. Pochi perché sono nati in una fase in cui la fecondità è scesa ai minimi storici, lenti perché la transizione alla vita adulta è meno rapida di un tempo e tardi perché approdano sempre più in ritardo a funzioni di rilevanza sociale e politica. I giovani italiani, a detta del professor toscano, «hanno meno prerogative e contano meno di quanto non contassero 20-30 anni fa». Eppure sembrano emergere interessanti indizi di una rinnovata sensibilità e un rinnovato impegno sia rispetto al raggiungimento di obiettivi personali (uscita dalla casa dei genitori, formazione di una famiglia, nascita dei figli) sia rispetto alla realizzazione di obiettivi sociali e politici.