Lavoro e famiglia. Restano questi i due valori fondamentali degli italiani, sempre meno fiduciosi nelle istituzioni soprattutto quelle politiche. È questo uno degli aspetti principali (le chiavi di lettura vista la varietà dei temi trattati sono davvero numerosissime) emersi dallo studio “Uscire dalla crisi” presentato in Cattolica martedì 28 febbraio e pubblicato da Vita e Pensiero. La ricerca, curata da Giancarlo Rovati, docente della facoltà di Scienze Politiche, rappresenta la sezione italiana della quarta indagine del Programma EVS - European Values Study.
Coordinata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, che per questa iniziativa ha ottenuto il sostegno della Cei la quale l’ha inserita all’interno del progetto culturale della Chiesa italiana, lo studio ha raccolto le informazioni nel biennio 2008-09, contattando 2500 soggetti (di cui ne sono stati considerati "eleggibili" 1519) diversificati per età, sesso, area geografica, ceto sociale.
«Il lavoro - spiega Rovati - occupa un posto molto importante nella vita degli italiani (63%) preceduto soltanto dalla famiglia che resta di gran lunga il valore a cui la stragrande maggioranza non può prescindere (91%). Tra gli elementi fondamentali legati al mondo del lavoro spiccano il guadagno (77%) e, soprattutto, la sicurezza del posto di lavoro (75%)». In contrasto con i luoghi comuni la "visione emancipativa" e la "voglia di lavoro" è più forte proprio nella fascia di età che va tra 18 e i 24 anni».
«Gli italiani hanno i loro punti di forza nella propensione all’impegno lavorativo, nel senso di autonomia e responsabilità individuale, nella volontà di partecipare alle decisioni, nella disponibilità alla gratuità e alla solidarietà sociale – spiega nella presentazione dello studio Rovati (nella foto a sinistra) – nutrono però scarsa sfiducia verso le organizzazioni collettive e le istituzioni pubbliche nazionali che considerano distanti e inefficienti. Questo scetticismo, che costituisce un tratto di base della cultura nazionale, è di fatto un punto di debolezza per fronteggiare le crisi del nostro tempo, che richiedono l’elaborazione di progetti comuni e la capacità di organizzare sforzi coordinati e duraturi».
A presentare una sintesi delle grande mole di dati raccolti e delle possibili interpretazioni che da questi si possono trarre ci ha pensato Renzo Gubert, docente presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Trento che ha ricordato tra le altre cose, l’incremento della sfiducia, in aumento negli ultimi vent’anni, e le questioni relative all’individualismo sociale «espressione di un disagio poiché l’individualista non è un colpevole ma un marginalizzato».
Vicini di casa. Tra le categorie meno gradite dagli italiani come vicini di casa troviamo i cosiddetti “zingari” (62%), i tossicodipendenti (58%), e i pregiudicati (51%) perché, fondamentalmente, sono gruppi di persone che vengono automaticamente collegate a diverse tipologie di reato. Lo stigma verso i musulmani, in aumento, c’è ma resta una percentuale decisamente modesta (22%).
Solidarietà. Il concetto di solidarietà e strettamente legato a quello di prossimità: l’aiuto viene dato soprattutto a parenti e vicini. Nel dettaglio i più attenti al bisogno del prossimo sono donne e anziani.
Spirito civico. Chi contravviene alle norme base dell’educazione civica viene sì condannato ma con molte attenuanti. Anche perché quando si entra nel dettaglio del reato le percentuali non sono “bulgare” come si potrebe pensare. Per esempio il 45% legittima almeno in "qualche caso" il pagamento in “nero” mentre le tangenti sono sì condannate ma “solo” dal 76% degli intervistati. I più “permissivi” sono atei, giovani e appartenenti alla classe media. I più intransigenti solitamente sono quelli con una chiara connotazione religiosa. Per quanto riguarda il concetto di appartenenza non trova molto spazio il cosmopolitismo. Gli italiani mantengono un’identità nazionale e locale. Secondo gli italiani gli elementi necessari per poter rivendicare l’appartenenza a una comunità sono la conoscenza della lingua e la condivisione di legge e valori vigenti in un determinato territorio. Bassa la condivisione del concetto di ius soli di cui si è discusso molto negli ultimi tempi. Per il campione interpellato non basta essere nati in Italia per esserne considerati cittadini.
Religione. Non è vero quanto da diversi decenni viene detto dai media riguardo lo svuotamento delle chiese italiane. Dall'indagine emerge infatti che negli ultimi 40 anni la partecipazione settimanale ai riti religiosi è abbastanza costante (oscilla tra il 28 e il 30%). L'Italia in ogni caso si conferma un Paese molto religioso (il 78% si dichiara cattolico) soprattutto rispetto alla media europea che, nella classifica di secolarizzazione ci vede al 39° posto.
Il ruolo dello Stato. Gli italiani considerano legittimo l’intervento dello Stato nella vita quotidiana a patto che questo non sia troppo invasivo. Per quanto riguarda la questione della laicità dello Stato gli italiani, tra il modello cosiddetto “francese”, che tende a distinguere nettamente Stato e religione e quello “americano” dove i due elementi spesso si fondono scelgono abbastanza nettamente il primo (63% > 14%).
Politica. Interessante anche la questione legata al concetto di democrazia. L’88% degli intervistati sostiene di esserne a favore ma quando poi si scende nel dettaglio la situazione è abbastanza confusa. Il 41% è infatti favorevole a un governo formato da tecnici non eletti dal popolo (notare che le interviste sono state realizzate prima dell’insediamento del Governo attuale). Abbastanza prevedibile, ma non per questo da sottovalutare, il dato riguardante la fiducia nelle istituzioni. Lo scontento nei confronti dei partiti politici sale rispetto all’ultima rilevazione andando a toccare un decisamente non invidiabile 82% . Male anche stampa e sindacati mentre reggono esercito, polizia e Chiesa. Tornando ai partiti va però considerato che nonostante la scarsa fiducia gli italiani non sono distanti da ciò che succede nel mondo della politica: se è vero infatti che l’interesse è molto moderato è altresì vero che comunque si tratta di un ambito comunque seguito. Senza dimenticare che, considerando l’azione politica nell’accezione più ampia del termine, gli italiani sono pronti a rispondere presente dato che la maggioranza di questi si è dichiarata disponibile a partecipare ad azioni di pressione.
Stabile l’impegno nelle associazioni con un leggero incremento dei movimenti di stampo ecologista e pacifista.
«La ricerca, molto interessante, induce alcune riflessioni - ha detto commentando i dati Antonio De Lillo, docente di Sociologia all’Università Bicocca di Milano – a partire da quella suggerita dal titolo. La crisi infatti non è altro che la rottura del corso atteso delle cose che rende difficile il futuro. In Italia si è persa la linea.. Vi è una discrasia tra ciò che viene detto e ciò che viene sperimentato nella vita di tutti i giorni» «Un’altra nota dolente – ha ricordato De Lillo – è quella riguardante la mobilità sociale. Il nostro è un Paese dove i figli degli operai continuano a fare gli operai e i figli dei borghesi, se va male, fanno i dirigenti di medio livello. Il merito non è quasi mai premiato. La generazione dei giovani “primi laureati” nella storia della loro famiglia non ha un riscontro meritocratico. Il ceto sociale è ancora determinante»