Ogni mattina apriamo il frigorifero di casa e ci prepariamo una bella tazza di latte fresco, mentre a mezzogiorno scongeliamo una costata di manzo da gustare sulla griglia. Ormai non ce ne rendiamo conto, ma dietro questi piccoli gesti scontati si cela un rapporto millenario che lega l’uomo all’arte dell’allevamento, un sodalizio che risale alla preistoria che sta alla base della nostra alimentazione nonché della nostra stessa storia. Proviamo solo per un istante a chiederci se i nostri animali domestici siano stati sempre quelli, o se dietro l’evoluzione delle specie allevate non vi sia la chiave di lettura della stessa evoluzione umana. Ebbene la risposta è sì, e viene da tre studi pubblicati sulla prestigiosa rivista Science condotti dall’Università Cattolica di Piacenza.
Il professore Paolo Ajmone Marsan (nella foto sotto), docente di miglioramento genetico e biotecnologie animali, insieme ai collaboratori Riccardo Negrini e Raffaele Mazza hanno svelato il mistero dei “mattoncini” della vita bovina, il dna, sequenziandolo e caratterizzandolo fino a giungere a individuare le connessioni dei geni e la distribuzione delle diverse razze sulla terra, le differenze, ma soprattutto l’operazione di selezione attuata dall’uomo nel corso della storia. Attraverso le ricerche condotte dal professor Marsan e dalla sua equipe è così possibile ricostruire il percorso di domesticazione degli animali e risalire ai motivi che hanno spinto l’uomo a differenziare le diverse razze a partire da un’unica popolazione ancestrale di partenza. Il “Bovine HapMap Consortium” e il “Bovine Genome Sequencing and Analysis Consortium”, questi i nomi delle ricerche pubblicate, hanno mostrato come che il dna delle mucche sia composto da non meno di 22 mila geni, individuando quelli rispettivi alla lattazione o alle difese immunitarie.
Ma in quali termini sono spendibili queste prestigiose ricerche? A rispondere è lo stesso professor Marsan. «Applicando una selezione meticolosa di queste informazioni genetiche è possibile individuare i geni che riguardano precisamente gli organi di produzione, per esempio il latte. L’intervento su questi avrà un significativo riscontro per la creazione di allevamenti sostenibili. Migliorare la salute degli animali o curare la loro riproduzione porterà un grande vantaggio all’allevamento, garantendo una produzione animale più mirata e più efficiente». Il motivo è presto detto: un animale che mangia meno, ma mangia meglio, comporta un risparmio in termini di impatto ambientale (smaltimento dei reflui zootecnici), nonché la possibilità di disporre di una maggior quantità di biomasse per altri impieghi, per esempio quello energetico. «La ricerca porterà miglioramenti anche nella prevenzione del fenomeno dell’Embriding, ovvero la riproduzione tra animali parenti, che spesso genera animali omozigoti che verificano malattie genetiche recessive – continua il professor Marsan –. Inoltre non bisogna dimenticare la facilitazione del processo di stima genetica dei capi, un processo che attualmente incide parecchio sulle spese di riproduzione negli allevamenti. Con l’utilizzo della genomica si può arrivare a un risparmio stimabile fino a un ordine di grandezza». Tanto per fare un esempio: nel campo della riproduzione della frisona da latte (le care mucche bianche e nere), la stima genetica di un toro viene a costare quasi 25 mila euro! Ma non è tutto. Marsan è convinto che il successo della ricerca condotta porterà a progressi anche nel campo della difesa e della tutela delle biodiversità: «Certe razze allevate sono il frutto di selezione effettuata dall’uomo in base all’ambiente e così alcune di queste, il cui allevamento non ha riscontro economico, stanno scomparendo – spiega il professore –. La ricerca ci permette di individuare i caratteri peculiari di queste razze minori e poterli tutelare per non perdere questo patrimonio di biodiversità».
Seguire le orme genetiche degli animali domestici attraverso i secoli significa anche entrare nel campo della storia dell’uomo. Le tracce genetiche di esperienze passate nella storia evolutiva degli animali, nonché l’espansione e la migrazione degli animali per volontà dell’uomo, possono essere utili anche alla storiografia. L’esempio ci viene sempre dal professor Marsan: «Attraverso uno studio approfondito delle razze bovine toscane, come per esempio la chianina – conclude Marsan – abbiamo ricostruito una linea di provenienza mediorientale di queste razze. Attraverso lo studio delle diversità genetiche di questi bovini siamo riusciti a correlare la datazione del loro sviluppo in Italia con quella del popolo etrusco. Un traguardo sia genetico che storiografico». Insomma, la prossima volta che taglierete una fiorentina al sangue pensate agli avi di quella chianina e alla gloriosa discendenza che risale a prima della fondazione di Roma.