Con questo articolo proseguiamo il dibattito - aperto il 18 giugno dall’intervento su Cattolici e politica del professor Agostino Giovagnoli - a cento anni dall’appello di don Luigi Sturzo “agli uomini liberi e forti”. Un manifesto che, anche un secolo dopo, non ha perso smalto e freschezza.
di Aldo Travi *
L’appello “agli uomini liberi e forti” è certamente espressione di un tempo che è passato: rispecchia le aspirazioni e, in ampia misura, le illusioni che seguivano a una guerra mondiale, quando sembrava possibile sostenere la pace con una trasformazione profonda delle persone e delle istituzioni che aprisse al riconoscimento più profondo alla dignità dell’uomo. Oggi, leggendo questo brano, non si può dimenticare il baratro della Prima guerra mondiale, essa sì fine tragica di tante speranze individuali e collettive, e la successiva incapacità dei Governi di superarlo e di riconoscere la dignità delle persone e delle Nazioni al di là della brutale distinzione fra vincitori e vinti. L’appello “agli uomini liberi e forti”, con le sua grandi aspirazioni e con alcuni obiettivi margini di ambiguità, era destinato a essere travolto dagli eventi: invece di un dibattito fecondo, si sarebbe presto imposta una dittatura e pochi degli uomini “liberi e forti” sarebbero rimasti veramente tali. Meno di quindici anni dopo, anche nel Paese nel quale il poeta aveva additato l’ideale di “una terra libera con un popolo libero”, il richiamo alla libertà sarebbe risuonato in tutt’altro senso, all’ingresso di un campo di concentramento.
Eppure rileggere l’appello di Sturzo del 1919 dà anche un senso bruciante di rimpianto e di attualità. È come se cento anni da allora fossero passati inutilmente, alla luce dei nuovi pericoli e dei nuovi problemi che affliggono alla base un sistema democratico che invece avrebbe dovuto crescere proprio grazie alla libertà delle persone. La libertà e la fortezza sono quotidianamente sfidate da quanti ignorano il senso della ragione, praticano l’impegno politico come strumento di autoaffermazione, indulgono alle pretese più epidermiche, negano qualsiasi ideale vero, sostituiscono ai fatti lo stordimento degli slogan. Ci accorgiamo ora, tardivamente, che anche la scienza giuridica in molte sue espressioni ha cooperato per questa crisi, sostituendo al “valore” la figura degli “interessi” e proponendo un diritto amorfo, fatto di convenzioni, ma senz’anima. Non ci siamo resi conto che tutto questo, a lungo andare, avrebbe indebolito anche la coscienza civile delle persone.
Oggi un appello del genere di quello di don Sturzo sollecita l’impegno di quanti – cristiani e non – credono che la democrazia non si risolva nelle statistiche, ma esiga innanzi tutto solidarietà e impegno. Il cristiano impegnato in politica è essenzialmente un laico, come insegna il Concilio nella “Gaudium et Spes” contro un clericalismo plurisecolare e ricorrente. È un laico che si confronta con altri laici, spesso ispirati a visioni diverse, ma che sa dialogare con tutti, senza imporre a nessuno la sua concezione, perché la democrazia non ammette verità “a priori”, e nello stesso tempo senza mai rinunciare a testimoniare la bellezza della sua fede. I punti d’incontro sono l’onestà personale, “prerequisito” essenziale per qualsiasi impegno politico; la dignità delle persone umane, che non ammette limiti di nazione, di razza, di religione e che esige di essere protetta soprattutto nelle situazioni di maggiore fragilità; la convinzione che la solidarietà e la ricerca del “bene” siano non una semplice attitudine individuale, ma il sale di una realtà di vita; l’amore per la cultura, che rende veramente “liberi” e che rappresenta un “pane” di cui tutti hanno oggi terribilmente bisogno, magari proprio perché se ne va perdendo la consapevolezza. Per un cristiano tutto questo ha un significato politico profondamente evangelico, che nulla ha a che vedere con certe espressioni penose di esibizione di rosari ai comizi elettorali. Il Vangelo, lo sappiamo bene, è tutt’altra cosa.
Il nostro è un periodo strano, in cui tante cose si ripetono e nello stesso tempo tante cose si presentano in termini del tutto inediti. Sembra la stagione del laicismo e dell’agnosticismo; eppure anche per molti che non si dichiarano cristiani l’autorità più alta, dal punto di vista morale, quella cui si guarda con attenzione e che si segue con trepidazione nei momenti più bui, è una persona che a Roma ha scelto il nome di Francesco. Altri sostengono che egli non sia di moda, ma le mode passano, e agli “uomini liberi e forti” d’oggi le sue parole lasciano il segno.
* docente di Diritto amministrativo alla facoltà di Giurisprudenza, campus di Milano
Ottavo articolo di una serie dedicata ai cento anni dall’Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo. Domani l’intervento del professor Enzo Balboni