Che rapporto hanno i giovani con la fede? Quali sono le loro credenze e i loro atteggiamenti nei confronti della religione? Quali sono i motivi di chi si allontana dalla Chiesa? A queste e ad altre domande hanno risposto 150 giovani, che hanno raccontato la loro esperienza di fede e il loro vissuto religioso, rivelando un interessante spaccato di questa intima dimensione della vita, delle sue luci e delle sue ombre. L’indagine qualitativa che ne è seguita è raccolta nel volume Dio a modo mio, curato da Paola Bignardi e Rita Bichi, nato da un approfondimento nell’ambito del Rapporto Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.

Annamaria MusilloPer permettere agli intervistati di parlare a proprio agio e senza filtri su un tema così privato l’Istituto Toniolo ha chiesto la collaborazione di alcuni studenti dell’Ateneo che hanno rivolto i quesiti dell’indagine ai loro coetanei. Annamaria Musillo (nella foto a lato) è una di loro: originaria di Matera, ex studentessa dell’Università Cattolica e collegiale del Paolo VI, laureata in Lingue e letterature straniere, ora vive a Roma e, appena concluso il Tfa, aspetta di diventare a tutti gli effetti insegnante di Spagnolo.

«Ho saputo di questa ricerca da alcuni amici e mi sono subito interessata. Mancavano intervistatrici del Sud Italia, condizione necessaria per uno spaccato completo della situazione italiana e mi sono proposta» racconta.

Come si è sviluppato il lavoro? «Con altri colleghi siamo stati ospiti dell’Istituto Giuseppe Toniolo dove le ricercatrici hanno tenuto un seminario su come impostare interviste e domande. Io ho avuto l’opportunità di intervistare alcune ragazze che abitavano con me, anche se non mie amiche (ovviamente non era possibile). In totale ho intervistato una decina di giovani tra i 18 e i 29 anni. Con loro si è discusso di esperienze di vita e di fede. Quindi del rapporto con la chiesa, con i parroci, con le associazioni religiose. Non è stato facile. Il tema è dei più profondi e complessi e in certi casi è stato necessario un grande livello di empatia. Non tutte sono state esperienze positive».

Che impressione ti sei fatta dei ragazzi che hai intervistato? «Erano molto eterogenei. Alcuni di loro erano più implicati con la fede, altri meno. Da una ragazza del Nord fortemente credente, che vive la fede come impegno quotidiano, in parrocchia, ad altri più vicini a Dio dal punto di vista spirituale ma distanti dalla Chiesa come organizzazione. Altri addirittura non avevano chiara la differenza tra la figura di Cristo e Dio, altri ancora avevano dei ripensamenti sulla Chiesa in generale. Alcuni si sono messi a piangere di fronte a me. Chi provava dolore. Sono rimasta molto colpita».

Come giudichi questa esperienza? «Non avevo mai intervistato prima. Questa è stata la prima sfida personale da affrontare. Poi tutto il resto. Ogni intervista è stata un dare e avere, uno scambio mai arido o superficiale, ogni volta proficuo. Sono sempre stata credente. Da bambina ho fatto parte del coro delle voci bianche ma a poco a poco mi sono allontanata dalla fede. È facile allontanarsi. Lo studio, gli impegni, la mancanza di tempo possono distogliere. Tuttavia da quel momento, da quel flusso creato tra me e loro, credo si sia risvegliata una parte sopita di me. E mi sono riavvicinata alla fede».