A man without a plan. Quando deve descrivere la propria carriera, Moisés Naím usa questa espressione. Nessun piano prestabilito, ma una straordinaria capacità di trovarsi al centro degli eventi, per l’editorialista di fama internazionale che il 31 gennaio ha incontrato gli studenti dell’Università Cattolica. La conferenza, dal titolo “Informazione globale, comunicazione totale. Istruzioni per l’uso”, è stata introdotta da Gianni Di Giovanni, docente del master in Media relation e comunicazione d’impresa, che promuoveva l’incontro.
Nato in Libia ma cresciuto in Venezuela, Moisés Naím è stato nel corso degli anni professore, ministro dell’Industria e del Commercio venezuelano e direttore esecutivo della Banca Mondiale. Attualmente è Senior Associate del Carnegie Endowment for International Peace, un’organizzazione che promuove la pace e la cooperazione tra le nazioni. Se però oggi gli si chiede quale sia la sua professione, risponde: il giornalista. «A diciassette anni - ha raccontato - dirigevo il giornale della scuola, ma solo perché mi piaceva una ragazza della redazione. E comunque non ha funzionato». Poco male, per uno che nel 1996 sarebbe diventato direttore del Foreign Policy, una delle testate economiche più note a livello internazionale. «Ho ricoperto quell’incarico per quattordici anni - ha continuato -, molto più di quanto mi sarei aspettato. Ai tempi stava crescendo il fenomeno della globalizzazione: il mondo diventava sempre più interdipendente, e mi sembrava fondamentale avvicinare i lettori a queste tematiche. Ecco perché ho cercato di costruirvi attorno un dibattito, di fare spazio a voci nuove, insistendo sul’idea che siamo tutti connessi, tutti vicini».
L’interconnessione è un concetto su cui Moisés Naím è tornato più volte, declinandolo in termini sia economici che sociali. Nel primo caso si è soffermato sull’attuale situazione di crisi: «In un mercato globale come il nostro, basta un episodio locale a scatenare una reazione a catena, che man mano si espande con una velocità sorprendente». E proprio questa rapidità diventa l’ostacolo maggiore alla stessa risoluzione della crisi. «Prendiamo il caso dell’area euro - ha proseguito - . Sono tutti occupati ad analizzare cause e implicazioni, ma perché è così difficile individuare un rimedio? Perché ormai c’è un divario incolmabile fra i ritmi del mercato e quelli della democrazia». Quest’ultima resta prigioniera dei suoi stessi principi fondativi: è sempre il prodotto di un accordo, e come tale richiede tempo.
Un altro ambito nel quale siamo tutti collegati è naturalmente quello informativo. Con l’avvento di Internet si sono moltiplicate le fonti, mettendo a disposizione di tutti nuovi strumenti per verificare le notizie. A oggi, le opportunità sono talmente tante da essere diventate eccessive, e l’effetto è stato controproducente: invece che maggior consapevolezza, si è diffuso un generale disorientamento. Secondo Naím, «arriverà un momento in cui ognuno dovrà decidere a chi credere. C’è bisogno dei cosiddetti gatekeepers: siti web, giornalisti, testate che ci dicano a chi possiamo dare fiducia».
Infine, il discorso di Moisés Naím si è concentrato sulla politica, e il quadro che ne è emerso non è dei più ottimisti. «I primi anni di questo secolo - ha spiegato l’editorialista - sono stati terribili per i partiti, e si sono rivelati invece decisivi per le associazioni, i movimenti, le Ong. Oggi si è disposti a sposare una determinata causa, ma nessuno vuole più far parte di un partito». Disaffezione e sfiducia sono provocate dagli stessi politici, che costruiscono il proprio successo screditando sistematicamente gli avversari. Il risultato è la classica vox populi per cui “tanto sono tutti uguali”. Una situazione del genere, secondo Naìm, è deleteria, perché senza partiti non c’è democrazia. «Le organizzazioni - ha spiegato - sono per natura monotematiche, e sono figlie di una visione che resta sempre parziale. Chi invece deve avere uno sguardo complessivo, chi deve parlare di tutto, e saper coniugare punti di vista diversi, sono i partiti. È lì che si formano coloro che dovranno guidare il governo di un Paese».