È vero che L'Italia è una Repubblica fondata sul romanzo nel cassetto ed è anche vero che diventare scrittori è il sogno di molti. Eppure è un mestiere difficile, in cui la tecnica è fondamentale, come ha spiegato lo scrittore noir Raul Montanari – ospite della cerimonia di chiusura dell’ottava edizione del Corso di alta formazione in Scrittura creativa che si è svolta il 22 giugno nel nostro Ateneo –, perché «la scrittura creativa è un linguaggio che ha delle formule di apprendimento, come l'arte e la fotografia».
A questo proposito Michele Di Pasquale, docente di Diritto d'autore, parlando a nome dell'ideatrice del corso Maria Luisa Chiara, ha chiarito le finalità del corso, che non vuole essere formativo, ovvero non insegna a scrivere – perché il talento non si può trasmettere –, ma nasce per mostrare le vie della professione della scrittura aiutando gli studenti a sviluppare le propri doti scrittorie e a indirizzarle verso lo stile più adatto a ciascuno. Giuliana Grimaldi, prima studentessa, poi tutor e adesso coordinatrice del corso, ha citato i numeri prodotti dai 34 partecipanti al corso quest'anno: 157 racconti e ben 28 romanzi individuali, una prova tangibile della mole di lavoro svolta.
Ermanno Paccagnini, direttore scientifico del Corso, ha dialogato con lo scrittore, presentando il suo ultimo volume edito da Dalai, L'esordiente. Un romanzo che ha per protagonista proprio un autore noir, Livio Aragona, preso dall'ambizione di vincere il più prestigioso premio letterario italiano. La storia si basa su tre filoni narrativi: il primo ruota attorno al "combattimento" con gli altri e con se stesso per raggiungere il premio, mai nominato per intero, secondo l'espediente letterario per cui il protagonista crede che porti sfortuna il solo pronunciarlo. Il secondo mette in scena il "combattimento amoroso" con una studentessa del corso di scrittura creativa dove insegna, Veronica, considerata da Livio una pessima scrittrice per colpa di un antagonismo cieco che gli impedisce di vederne le doti reali. La terza linea narrativa è quella noir, incarnata da Emiliano, un ex delinquente, che presentandosi all'inizio come un personaggio quasi buffo diventerà invece inquietante. È il personaggio "dinamico" del romanzo, secondo la definizione di Stevenson: la percezione che ne ha il lettore muta con lo scorrere delle azioni narrate, da buono diventa minaccioso, quasi cattivo, fino allo scontro fisico con il protagonista.
«Il post-noir è questo», dice Montanari, protagonista della stagione letteraria italiana popolata da Carlo Lucarelli e Andrea G. Pinketts, in cui il noir letterario non era ancora contemplato tra i generi di successo. Un genere che contempla due elementi fondamentali che sono la suspence (una tecnica tipicamente noir ma decontestualizzata) e la fascinazione della violenza, elemento che l'autore utilizza come unico sbocco possibile dell'incastro dei rapporti umani.
Montanari – oltre a spiegare i segreti di un arte che diventa tale quando si è capaci di nascondere al lettore la geometria della trama – ha raccontato gli inizi della sua carriera segnata soprattutto dal suo maestro Aldo Busi. La lezione più importante da lui ricevuta è quella di essere capaci di individuare nella scrittura lo stile più congeniale alla propria natura. Un errore tipico degli esordiente è infatti, oltre all'autobiografismo, quello di ispirarsi, quasi copiando, agli autori più amati: il rischio è che la passione per uno scrittore ci porti fuori strada.
La lezione lasciata da Montanari ai futuri scrittori è però soprattutto quella sulla motivazione: perché si scrivono i libri? «Per intrattenimento, per avere la compagnia di una storia che diventa basso continuo di un pezzo della vita di qualcun altro; ma soprattutto si scrive perché è un'operazione conoscitiva sia per il lettore che per l'autore». I libri sono il luogo dell'introspezione, con un'ampiezza che non è possibile emulare con nessun altro mezzo creativo; sono dei contenitori della verità, citando Tiziano Scarpa, ricavata dai diversi sguardi sul mondo che restituiscono una visione composita ma reale; sono il luogo della conoscenza anche per chi scrive, rinnegando l'idea secondo la quale lo scrittore fin dalla prima pagina ha già in mente la struttura completa del romanzo. Pontiggia, per esempio, affermava: «Uno scrittore quando arriva alla fine della storia ne sa di più di quando ha iniziato», perché i personaggi prendono vita e lo scrittore diventa spettatore delle sue pagine.
Per poter scrivere bisogna guardarsi dentro e attingere alle proprie verità, senza mai raccontarle in maniera diretta. «Però il narratore saccheggia il proprio dolore e lo dà al lettore per colpirlo freddamente, quasi cinicamente, perché dietro al fondale c'è sempre un ponteggio che lo sorregge». E quando la propria esperienza non basta si guarda ad altri due magazzini fondamentali per trovare idee narrative: gli altri accanto a noi e i libri. Un esempio è Azzurro, uno dei primissimi racconti brevi di Montanari, dedicato a Tiziano Scarpa, che narra di un torturatore: la sfida era quella di rendere simpatico al lettore un personaggio assolutamente negativo e la chiave è il suo colore preferito, l'azzurro: «Se avessi attinto al mio bagaglio avrei dovuto scegliere il nero o il rosso, ma il racconto sarebbe risultato fosco; ho guardato fuori e ho trovato l'azzurro, perfetto!». Nasce così una piccola pagina di letteratura: «Vivo immerso nell'azzurro. Il sangue che cola non tocca il fiore celeste, intangibile, in me. Mi hanno detto che la rivoluzione è ormai vicina (noi li torturiamo per sapere quando ci uccideranno). Mani rese invincibili dall'odio mi afferreranno. Dita inesperte mi strapperanno grida imperfette. Morirò certo troppo in fretta. Ma l'ultima immagine, l'ultimo urlo, l'ultimo battito del cuore, avrà il colore e il sapore dell'azzurro».